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Public Policy

Nonostante tra i “Pigs” l’Italia non è alla deriva

Verso una politica dinamica

Urge progettare una strategia unitaria e coordinare le politiche di risanamento dei singoli Paesi

di Angelo De Mattia - 10 febbraio 2010

In un contesto caratterizzato nell’eurozona, secondo il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, da alta disoccupazione che continuerà ad aumentare, da crescita debole dei prestiti nei prossimi mesi, da prospettive non soddisfacenti per i consumi, si registra, in positivo, che comunque l’attività economica continua ad espandersi, i tassi di interesse permangono appropriati, il rapporto deficit/pil dell’area sarà, per l’anno, migliore di quello del Giappone e degli Usa (6 per cento contro oltre il 10 per cento ), l’ inflazione é “ sotto tono”. Le misure di riequilibrio adottate dalla Grecia vanno nella giusta direzione , secondo il Consiglio direttivo dell’Istituto di Francoforte, ma ora bisogna passare alla loro attuazione, conseguendo gli obiettivi programmati. Anche l’Irlanda ha deliberato misure definite impressionanti da Trichet. Il quale ha affermato che i mercati non sono necessariamente bene informati sulla solidità dell’euro, ma ciò non significa essere indulgenti verso se stessi. Comunque, quello di Trichet è, complessivamente, un richiamo, da lui stesso definito “molto, molto forte”, al pieno rispetto del Patto di Stabilità.

E tuttavia non mancano, nel panorama, tentativi di disorientamento. E’ un gioco di parole di pessimo gusto, promosso in questi giorni da chi (l’Inghilterra ) non ha titoli per impartire lezioni su economie e finanza salde ed efficienti, quello che si svolge nel denominare i paesi dell’Eurosistema presentati come economicamente deboli con l’acronimo Pigs, dove la “i” sta a indicare l’Italia, insieme con gli altri Stati riconoscibili dalle iniziali.

Ci sarebbe da dire, visti gli sconquassi provocati con la crisi e il dissesto delle banche inglesi nonché le conseguenze scaturite ivi compresa la diffusione del contagio, che, anziché dilettarsi con i nomi (diletto che Oscar Wilde diceva essere proprio dei maggiordomi), la piazza finanziaria londinese farebbe bene a seguire il noto ammonimento “medice, cura te ipsum”. E’, tuttavia, opportuno astenersi dal sostenere, per ritorsione, che, semmai, quella “i” dovrebbe stare per Irlanda, non certo in condizioni migliori dell’Italia, anche se impegnata in uno sforzo di risanamento.

Pur avendo presente che sarebbe necessaria una linea diversa di politica economica, che passasse ad affrontare le riforme di struttura e contestualmente svolgesse un’azione decisamente propulsiva dell’economia, come è stato spesso sostenuto su queste colonne, solo una grave e irresponsabile forzatura potrebbe assimilare l’Italia, per esempio, alla Grecia, quanto alle condizioni dell’economia e della finanza pubblica.

Ciò che si è sostenuto per la Spagna, a proposito del raffronto con la Grecia, vale a maggior ragione per l’Italia, se si considerano i principali indicatori economici e, con specifico riguardo ai conti pubblici, se ne dà una valutazione complessiva, pur senza dimenticare affatto l’elevato livello del debito in rapporto al pil: il che richiede iniziative correttive da condurre con decisione, ma certamente di portata nettamente inferiore a quelle che si impongono per altri paesi. Occorre passare da una messa in sicurezza statica della finanza pubblica, secondo una politica inerziale, a una politica dinamica.

Questa evoluzione appare urgente, ma la sua necessità non ha nulla a che vedere con il rischio , che invece non é attuale, di vedere l’economia italiana e il bilancio dello Stato sotto pressione, pur considerando la ingente mole di titoli pubblici che nell’anno dovranno essere collocati sui mercati. Non siamo certo alla deriva. Né si pone, per qualche paese in difficili condizioni, un problema di permanenza nell’eurosistema. La Bce sarà, in ogni caso, estremamente vigile perché gli impegni assunti con la Commissione europea dai diversi Stati , in specie da quelli sotto procedura di infrazione, siano puntualmente rispettati.

Non si può, però, trascurare la pressione sotto la quale , dopo la Grecia, si viene a trovare il Portogallo ( oltre a quella sui generis esercitata nei confronti della Spagna,con una migliore situazione economica ) e che si manifestata con un serio allargamento dei differenziali di rendimento dei propri titoli , mentre fallisce un’asta, rispetto a quelli dei Bund tedeschi. C’è un tentativo di forzare per trovare un varco nelle aree deboli per poi attaccare l’euro? Potrebbe risultare un disegno vano, considerata la robustezza della moneta unica. Tuttavia, questa situazione segnala un problema vero: il peso che, nell’area, è addossato alla politica monetaria, per l’assenza di un ruolo unificante nella politica economica e di finanza pubblica, se si esclude la funzione della Commissione su deficit e debito.

Le situazioni di difficoltà che, prima della costituzione dell’Unione monetaria ed economica, venivano affrontate dai paesi meno forti – in quel caso, anche dall’Italia – con svalutazioni della propria moneta, ora richiedono altri tipi di aggiustamento, in mancanza dei quali le difficoltà possono estendersi all’intera Comunità. Quello che un tempo era il cambio ,oggi è, per esempio, l’accennato differenziale dei rendimenti dei titoli pubblici. Vengono, così, in primo piano i problemi della manovra finanziaria dello Stato, nonché della produttività e della competitività, attentamente valutati dai mercati e dalla speculazione. Verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso, l’allora Governatore onorario della Banca d’Italia, Paolo Baffi, scrisse un illuminante articolo su ciò che sarebbe potuto accadere nella, in quel tempo, progettata Unione monetaria, se un paese, non l’area nella sua interezza, fosse stato interessato da shock di diversa fonte.

Dopo aver tanto parlato, in seguito, della “zoppia” determinata dalla unica politica monetaria e dalle tante politiche economiche, oggi in eurolandia si sperimenta “ in corpore “, senza tacere delle carenze strutturali in alcuni paesi, ciò che significa questa divaricazione. Le autorità comunitarie, pur nella carenza di poteri di intervento a proposito del descritto problema, dovrebbero almeno progettare una strategia unitaria e coordinare efficacemente le politiche di risanamento dei singoli paesi, svolgendo una forte azione di stimolo, oltre quanto previsto dallo stesso Trattato, se si vuole evitare che situazioni come quelle alle quali stiamo assistendo si ripetano frequentemente con l’esercizio di pressioni su questa o quella economia. Poi sarebbe necessario far evolvere i poteri, in questo campo, delle istituzioni comunitarie. Ma sarà mai possibile? A questo punto le questioni economiche e finanziarie diventano eminentemente politiche.

Intanto, occorrerebbe predisporsi adeguatamente con un preciso programma per il prossimo mese di marzo, quando la Bce dovrà decidere sull’ulteriore ritiro delle misure non convenzionali adottate a suo tempo per sostenere le banche nel fronteggiare la crisi. Sarà un passaggio da non sottovalutare.

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