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“Una rondine non fa primavera”

Verso una nuova fase della crisi?

È necessario tenere alta la guardia e ricorrere a ulteriori provvedimenti di impulso

di Angelo De Mattia - 24 aprile 2009

Ci si sta avviando verso una nuova fase della crisi, nella quale si manifestano primi segni di riduzione delle difficoltà, in particolare nel campo finanziario? E’ azzardato dirlo, anche perché restano ancora intatte, almeno per ora, le difficoltà dell’economia reale, che si riflettono, a loro volta, sulla finanza. Nonostante le recenti affermazioni di esponenti del Governo e della Presidente di Confindustria, sarebbe prudente rifarsi ancora al Bollettino economico della Banca d’Italia nel quale si sostiene, con opportuna ponderazione, che si manifestano solo segnali prospettici di allentamento della forza della recessione (il Governatore Draghi aveva anche parlato di rallentamento della caduta), e ancorarsi tuttora al detto “una rondine non fa primavera”.

Del resto, la stessa Presidente Marcegaglia ha fatto riferimento alla previsione del suo Centro studi che vede la possibilità di “una qualche inversione di tendenza” nella seconda parte dell’anno: dunque, una posizione assai cauta. Ciò è doveroso, anche perché si è in attesa di valutare le analisi e le decisioni che saranno assunte in questa settimana in importanti consessi internazionali, il Consiglio direttivo della Bce e, poi, venerdì le riunioni del G8 e del G20 a Washington, prima delle assemblee primaverili del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale.

Saranno, queste, le occasioni per fare il punto sulla situazione a livello globale. Non si può dimenticare anche la particolare cautela con la quale le autorità americane si stanno pronunciando su di un vago inizio del superamento delle difficoltà – si vedano, in particolare, le dichiarazioni del Presidente Obama – mentre autorevoli istituzioni internazionali, quali l’Ocse, non si discostano dalla indicazione del 2010 come l’anno dell’avvio della ripresa.

Finora, si è affermato che, poiché la crisi ha avuto il suo epicentro negli Usa, è dagli Stati Uniti che deve partire la ripresa, perché possa dirsi con sufficiente certezza che essa si diffonderà a livello internazionale. E, tuttavia, negli Stati Uniti i problemi del sistema bancario non sono superati, né, ancora, è completamente nota la situazione dei titoli tossici e delle relative perdite. Si dovrà attendere, comunque, il 4 maggio per valutare i risultati degli stress test condotti in 19 banche, mentre è già ora aperta la discussione sulla possibilità di trasformare in azioni i crediti vantati dal Tesoro nei confronti delle banche.

Una sorta di proposta Carli all’inverso, quella proposta avanzata negli anni’70, quando, in presenza della grave crisi delle imprese, conseguente al primo shock petrolifero, l’allora Governatore della Banca d’Italia sostenne l’opportunità di trasformare i crediti delle banche in azioni delle imprese. La proposta, tuttavia, non fu accolta e, al suo posto, furono adottati provvedimenti legislativi per la riconversione industriale.

Al non aprirsi eccessivamente alla speranza della fine di quello che è stato chiamato l’incubo degli incubi può senz’altro concorrere la paura di sbagliare ancora nelle previsioni, così com’è accaduto sin dai primi sintomi della crisi. Ma, certamente, non soltanto di ciò si tratta. Per le gravi difficoltà vissute, sono necessari segnali ben più netti per poter individuare gli elementi della ripresa.

Diversamente, si tratterà del solito tentativo di infondere ottimismo con un’operazione meramente psicologica, che, alla fine, lascia il tempo che trova. Come è noto, in Italia gli indicatori congiunturali segnalano un proseguimento del calo dell’economia nel primo trimestre di quest’anno. Non è un dato che può essere trascurato. Così come non possono passare in secondo piano il rallentamento del credito e il deterioramento della sua qualità.

Diminuisce l’occupazione. Tutto, allora, si sposta sulle prospettive. Per arrivare a prefigurare un arresto della caduta dell’attività economica e concludere che si tratta di una recessione a V o (come è più probabile) a U ci vuole altro. E’ in ogni caso necessario tenere la guardia alta e non abbandonare l’idea del ricorso a ulteriori provvedimenti di impulso.

Il tema delle regole e degli stimoli fiscali non può certo passare nel dimenticatoio. Sarebbe grave se la hirundo che non facit ver dovesse indurre a ritenere, tutto sommato, non necessarie né le aggiuntive misure di espansione, di cui spesso si è parlato, né quelle compensative in tema di riforme di struttura.

All’opposto, questo sarebbe il momento di battere il ferro caldo. Proprio come accade nelle terapie d’urto di malattie in fase di allentamento, occorrerebe intervenire con dosi massicce per il rilancio dell’economia, a cominciare dal finanziamento della ricostruzione dopo il terremoto. In previsione della riunione, domani, del Consiglio direttivo della Banca centrale europea qualcuno ha sostenuto che potrebbe essere decisa in questa occasione una nuova riduzione dei tassi ufficiali di riferimento, almeno dello 0,25 per cento, tenendo anche conto delle recenti dichiarazioni del Presidente Trichet.

Non è consueto che nella seconda riunione del mese, non dedicata ai temi della politica monetaria, si decida una manovra sui tassi d’interesse. Tuttavia, di un abbassamento vi sarebbe senz’altro bisogno. Se, nonostante tutto, esso avvenisse, sarebbe un segnale assai importante e preparerebbe adeguatamente la zona-euro alle riunioni di Washington. Ma se ciò non accadrà, comunque l’operazione di riduzione del costo del denaro, anche in una misura superiore a quella testè pervista, potrà e dovrà essere effettuata nella prima seduta del Consiglio direttivo nel mese di maggio.

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