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Public Policy

Quali sigle detteranno i tempi della politica?

Verso la Terza Repubblica

Serve solidarietà economica, sociale, culturale e politica per gestire i tempi di transizione

di Ettore Bonalberti - 19 dicembre 2007

Con l’incontro tra Veltroni e Berlusconi, preparato dai buoni auspici dei due gran Visir romani, Goffredo Bettini ed Enrico Letta, si chiude una fase della vita politica italiana, quella della contrapposizione ad personam contro il Cavaliere, e si sancisce di fatto, la fine dei Poli così come si erano andati strutturando dal mattarellum in poi. L’avvenuta faticosa costruzione, non priva di traumatiche divisioni, del Partito democratico prima, e l’annunciata formazione del nuovo Partito del Popolo della libertà, determinano l’automatica fine dell’Unione da una parte e della Casa delle libertà dall’altra.

Fine dell’Unione nel momento in cui il nuovo leader Valter Veltroni, eletto a grandissima maggioranza dalle primarie, annuncia la volontà maggioritaria di quel partito, pronto a correre anche da solo nelle prossime consultazioni elettorali; fine della casa della libertà, peraltro già decretata da Casini e dall’UDC subito dopo l’esito delle elezioni, e formalmente sancita dal discorso sul predellino in piazza San Babila a Milano, il giorno in cui, raccolti otto milioni di firme per mandare a casa il governo Prodi, il Cavaliere ha annunciato la sua volontà di chiudere Forza Italia per lanciarsi nella nuova avventura del partito del Popolo della libertà.

Le nuove sigle che detteranno i tempi della politica saranno, d’ora in poi: PD e PdL. Immediate le reazioni nei due fronti: a sinistra con la volontà di costituire, seppur con grande fatica, la “Cosa Rossa” e sulla destra, scontata la solitaria posizione della Lega, smottamenti e tentativi di ricomposizione tanto in AN che tra i diversi tronconi moderati degli ex DC. A dettare tempi e modi di tali sommovimenti è il dibattito apertosi sulla nuova legge elettorale, con un referendum incombente e destinato, se verrà effettivamente indetto, a rivoluzionare la situazione politico-partitica dell’Italia. Insomma è la fine della seconda Repubblica che è durata quasi quattordici anni (1994-2007) nei quali, scomparse le grandi formazioni del dopoguerra, non si sono ancora potute ricostruire formazioni omogenee riconducibili alle tradizioni politico culturali prevalenti in Italia e in Europa.

Tutto ciò, peraltro, avviene in un momento di crisi istituzionale, economica, sociale e culturale tra le più gravi degli ultimi quarant’anni. Crisi ben rappresentata nella metafora della “poltiglia” o “mucillagine”, utilizzata dal Censis nel suo ultimo rapporto sullo stato del Paese. Una condizione di anomia, ossia di discrepanza tra mezzi e fini, di dissoluzione dei rapporti sociali tra e nei corpi intermedi, di assenza di regole certe e condivise, destinata a fomentare frustrazioni individuali e sociali generanti le più diverse reazioni. E così che un ceto medio, sino all’avvento dell’euro, abituato a condizioni di vita positive, si vede falcidiare la propria capacità di acquisto di quasi il 50% ( chi guadagnava 3, 4 milioni al mese era, prima dell’euro, un benestante; oggi, con 1500, 2000 euro, non è un povero, ma si trova a disporre di una capacità di acquisto dimezzata). A Torino, cosa che non accadeva dall’epoca del terrorismo e della contestazione degli anni ’60, gli operai indignati dopo l’ennesima morte sul lavoro, per il drammatico episodio della Thyssen, contestano apertamente il leader di Rifondazione comunista e presidente della Camera, Fausto Bertinotti e della Fiom CGIL, Gianni Rinaldini, mentre ovunque è diffusa una sensazione di incertezza e di sfiducia che a fatica viene recepita da un ceto politico, sempre uguale e sempre più lontano dalla gente, vissuto come “casta” privilegiata e parassitaria dalla stragrande maggioranza degli italiani.

Tocca al Presidente Napolitano tentare di rovesciare l’immagine deformata di un Paese in declino di cui parla il New York Times e che viene rappresentata nelle manifestazioni del V- day del comico Beppe Grillo. Anomia e frustrazioni sono elementi da valutare con attenzione e rispetto ai quali agire con grande cura. Potrebbero, infatti, innescare processi politico sociali dai risvolti sempre più incontrollati ed incontrollabili, come quelli accaduti con la serrata dei padroncini autotrasportatori che hanno paralizzato l’Italia e fatto vivere a tutti noi una situazione che ricordava tristemente quella cilena prima della fine del governo di Salvador Allende. Crisi della politica e una magistratura che, da parte di alcuni inquirenti, viene ancora utilizzata come strumento oggettivo di supplenza o a sostegno di una determinata fazione politica, mentre anche sul piano economico e finanziario gli assetti e gli equilibri di potere del nostro ancora bolso capitalismo stentano a riposizionarsi stabilmente.

Tutto questo accade con un governo impotente, ridotto a condizione di uno zombie, sottoposto ai condizionamenti continui di frange senza storia, e che sembra cadere ad ogni prova del voto al Senato, dove da tempo non esiste più, anche per dichiarazioni ufficiali di diversi suoi esponenti, una maggioranza politica in grado di governare e di affrontare le grandi questioni cui il Paese è vitalmente interessato.

Quali attese per il 2008?

Se questo è, seppur a grandi linee, lo scenario entro cui si sta svolgendo il confronto tra le diverse forze politiche in Italia, cosa possiamo aspettarci nel 2008? Molto dipenderà da come verrà risolta la questione della legge elettorale. All’orizzonte non mi sembra prenda corpo una possibile convergenza su un testo di nuova legge condiviso in grado di conservare gli attuali schieramenti oramai obsoleti. Se la richiesta di referendum verrà approvata dalla suprema corte e l’alleanza strategica tra il PD e il nascente PdL reggerà all’urto delle contestazioni interne ed esterne, mi sembra realistico un percorso che sconterà o la celebrazione del referendum o la crisi di governo. Va evidenziato che sono molto consistenti le difficoltà interne al centro-sinistra, tra PD e alleati minori, questi ultimi per ora riuniti nella fragilissima rete della sinistra arcobaleno. Difficoltà non meno presenti nello stesso Partito Democratico, dove si confrontano posizioni diverse non solo sulle modalità di organizzazione e di gestione del partito, “liquido” o “strutturato”, ma sulla stessa strategia e tattica da portare avanti verso l’ancora da molti assai odiato Cavaliere. Difficoltà ancor più accentuate dai rischi mortali oggettivi per la stessa sopravvivenza del governo Prodi.

Non minori difficoltà sconta il nascente PdL di Berlusconi, non tanto per interne difficoltà, impossibili in un partito dalla leadership carismatica e popolare senza alternative a breve, quanto per quelle provenienti dagli ex alleati, Fini e Casini ossessionati dalla prospettiva della leadership dei moderati e portati ad assumere comportamenti e decisioni spesso incomprensibili. Difficoltà, soprattutto, provenienti dai soliti poteri forti e incontrollabili, fatti di pezzi di magistratura, di potentati economico-finanziari e mediatici ben noti, che hanno nel quotidiano “ La Repubblica” il proprio altoparlante amplificatore, sempre pronti a far scattare meccanismi giudiziari ad orologeria al limite dell’assurdo, come quello legato a presunte corruzioni a favore di attrici e di compravendite di senatori che, per la verità, non hanno cambiato campo. Strana situazione quella italiana in cui si indaga con metodi degni della polizia di Pinochet e del KGB russo sul capo dell’opposizione, con intercettazioni illegali e pedinamenti di parlamentari nel pieno esercizio delle loro funzioni istituzionali, e si trascura il dettaglio che, semmai, elargizioni e favori sono state fatte a piene mani dal Governo che, pur di avere assicurato il voto dei senatori ribelli alla finanziaria ancora in discussione al Senato, non ha lesinato risorse per accontentare le fameliche richieste a Nord e Sud del Paese e in giro per il mondo…

La situazione è in rapida e complessa evoluzione tanto sul versante del centro-destra che su quello di centro-sinistra. Il tema che sembra prevalere è il seguente:

conquistare il voto del centro annullando le formazioni centriste o dar vita ad un centro di dimensioni anche modeste ma in grado di condizionare i futuri assetti politici e di governo?

Tutti d’accordo nella volontà di superare il bipolarismo impotente della seconda Repubblica; meno scontata l’intesa su quali equilibri costruire la politica nella Terza Repubblica, mentre si trascina stancamente una fase di transizione ormai intollerabile per la maggioranza degli italiani.

PD e PdL sembrano puntare sulla competizione a due per conquistarsi il voto dei moderati anche a danno dei loro attuali o ex alleati. Una prospettiva che se può anche andar bene per le diverse sinistre che, in tal modo, sperano di conquistare un loro spazio alla sinistra del PD, pur rimando in molti il sopravvenuto contagio della voglia di restare al governo dopo anni di lungo digiuno all’opposizione, non è certamente una prospettiva accettata da coloro che, consideratisi da sempre eredi della vecchia Balena Bianca, mal sopportano il Cavaliere prendi tutto, compresa la rappresentanza di quell’area che considerano stabilmente di loro appartenenza specifica.

Se nel centro sinistra il tema sembra riguardare, da un lato, il dibattito interno tra nuova leadership veltroniana, prodiani e popolari mariniani, con Rutelli e D’Alema che non intendono considerarsi oramai fuori gioco e, dall’altro, i tempi e i modi in cui potrà, se mai si costituirà, la nuova “Cosa rossa”, sul fronte del centro-destra la situazione appare la seguente:
a)Berlusconi con la scelta di dar vita al PdL compie una svolta di enorme portata sul piano della stessa nuova fisionomia che si intende assegnare ai partiti e al loro rapporto con i cittadini e nella scelta delle classi dirigenti;

b)nello stesso tempo, se non direttamente, oggettivamente egli ha dato spazio e fornisce ossigeno a quei movimenti di scissione tanto in AN (Storace e Santanchè) che in UDC (Giovanardi e popolari-liberali) pronti a confluire con Rotondi (Nuova DC e PSI) e con Pizza (DC) nel PdL;

c)Gianfranco Fini, a corrente alternata, delfino o strenuo oppositore del Cavaliere, smanioso di leadership, con la foto sul comodino in permanenza dei suoi miti, Aznar e Sarkozy, si immagina già, senza alcun limite, Sindaco di Roma o Presidente del Consiglio. Roba da seduta psicoanalitica per un ex leader missino che vede ogni giorno di più ridursi il consenso interno ed esterno al suo partito. Pronto per entrare nel PPE con tutti gli ulteriori pedaggi che tale scelta potrà provocare in termini di consenso e terrorizzato dalla piega che potrà prendere la politica se l’accordo PD-PdL dovesse alla fine prevalere;

d)Casini, il Fasulein della commedia dell’arte bolognese (con il dr Balanzone –Prodi e il Sandrone Fini, coprotagonisti attivi di questa fase) è quello che, con più furbizia, ma scarso respiro strategico tenta di pensarle tutte pur di conservare un ruolo, se non decisivo, almeno influente, nello scenario politico italiano. Presiede l’Internazionale DC e fa sempre parte del PPE, in cui, guarda caso, da molti anni oramai è stabilmente insediato anche l’amato-odiato Cavaliere. Ha tentato a suo tempo la carta Follini con l’unico risultato di indebolire l’azione del governo Berlusconi e lo stesso esito delle ultime elezioni politiche, finendo con il ritrovarsi il fedifrago Follini, portavoce del nuovo PD, e Berlusconi che si credeva già irrimediabilmente azzoppato, se non ancora politicamente morto, più forte e popolare che mai.

L’UDC vive una condizione terribile di crisi e di possibile disgregazione con Giovanardi e company pronti al trasloco nel nuovo PdL, solo che quest’ultimo si dichiari sezione italiana del PPE e si dia regole interne degne di una formazione autenticamente democratica.

E, sulla sua sinistra, con Baccini e Tabacci pronti a dar vita con Pezzotta e altri esponenti di area cattolica e liberal democratica ad una nuova formazione politica in grado di porsi al centro dello schieramento tra Veltroni e Berlusconi, con l’obiettivo di ricostruire un centro-sinistra liberato dai condizionamenti delle estreme.

E’ una partita complessa e difficile. Molto dipenderà dall’esito del confronto sulla legge elettorale. Da parte nostra staremo attenti nell’osservare ciò che accade, non nascondendo il nostro consenso ad un passaggio in cui le due grandi forze politiche possano trovare un punto di intesa non solo di tipo istituzionale ma anche di governo. I tempi di transizione sono quelli più difficili per una democrazia ancora fragile come la nostra e vanno gestiti con ampia solidarietà economica, sociale, culturale e politica. Pensare di poterli viverli nella contrapposizione frontale degli ultimi quindici anni è assurdo e sarebbe esiziale per la stessa tenuta del sistema.

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