Dopo la vittoria di Ahmadinejad
Verso l’Iran ultraconservatore
L’Occidente si risveglia di soprassalto e scopre che l’Iran non è una democraziadi Davide Giacalone - 27 giugno 2005
Il mondo libero, il mondo occidentale sembra essersi svegliato di soprassalto e, guardando all’Iran, prova orrore e paura. A ridestarlo sono state le elezioni presidenziali, che hanno consegnato la vittoria a Mahmud Ahmadinejad, un integralista, uno che ha rilasciato le prime dichiarazioni proprio contro gli Stati Uniti ed Israele, rivendicando la scelta nucleare e dileggiando chi gli chiedeva di rispettare i diritti umani. Brutta roba, non c’è dubbio, ma mi sorprende la sorpresa.
Intanto, non basta dire “elezioni” per voler significare “democrazia”. Anche nell’Italia fascista si votava, e l’affluenza alle urne era alta (obbligatoria). Perché le due cose vadano assieme occorre che ci sia libertà d’organizzazione e propaganda politica, che nessuno debba temere per quel che sosterrà, che il conteggio dei voti sia fatto in modo regolare. Questo è il minimo, ed in Iran manca.
Lo sconcerto, probabilmente, deriva dal fatto che in quel Paese, nonostante il lungo dominio teocratico, esiste ancora una borghesia che non sopporta i vincoli del komeinismo ed una gioventù studentesca che non rinuncia a forme, sebbene larvate e flebili, di protesta. Ma non è che i risultati raccontino una realtà poi così diversa: i due candidati giunti al ballottaggio avevano raccolto, ciascuno, circa il venti per cento dei voti, con un trentacinque per cento di iraniani che non sono andati a votare. Pur non esistendo la possibilità di un governo progressista in uno stato teocratico (assurdo), gli elettori si nono mostrati tutt’altro che entusiasti del loro nuovo presidente.
E se un candidato al ballottaggio era Mahmud Ahmadinejad, l’altro Akbar Hashemi Rafsanjani era, da presidente del parlamento (si fa per dire) uno dei più ascoltati consiglieri di Khomehini (quel pezzo di medio evo che i francesi avevano cullato come un eroe dei lumi). Non aveva mosso un dito per difendere gli studenti, e si era barcamenato fra il fondamentalismo ed i fremiti di un popolo che, almeno in una sua parte, ne aveva piene le tasche di essere vittima di matti. Insomma, non era una gran scelta. Anzi, si può dire che se di Ahmadinejad non sappiamo quel che realmente farà, di Rafsanjani sappiamo che non era riuscito a fare nulla di utile.
Nella sua prima conferenza stampa il neoeletto si è rivolto agli europei dicendo loro che l’Iran sarà ben felice di fare affari, ma che pretende il rispetto politico e che si scordino di interferire nel campo dei diritti umani, poi ha aggiunto di guardare con interesse a quel che avviene in Cina. Nel grande continente asiatico, difatti, c’è un gran fervore affaristico, i Paesi dell’occidente fanno a gara per assicurarsi quote di mercato, e nessuno fiata se gli oppositori vengono passati sotto i cingoli dei carri armati. Ecco, la prossima volta che si sveglia di soprassalto, l’occidente, mediti anche sulle proprie colpe.
Intanto, non basta dire “elezioni” per voler significare “democrazia”. Anche nell’Italia fascista si votava, e l’affluenza alle urne era alta (obbligatoria). Perché le due cose vadano assieme occorre che ci sia libertà d’organizzazione e propaganda politica, che nessuno debba temere per quel che sosterrà, che il conteggio dei voti sia fatto in modo regolare. Questo è il minimo, ed in Iran manca.
Lo sconcerto, probabilmente, deriva dal fatto che in quel Paese, nonostante il lungo dominio teocratico, esiste ancora una borghesia che non sopporta i vincoli del komeinismo ed una gioventù studentesca che non rinuncia a forme, sebbene larvate e flebili, di protesta. Ma non è che i risultati raccontino una realtà poi così diversa: i due candidati giunti al ballottaggio avevano raccolto, ciascuno, circa il venti per cento dei voti, con un trentacinque per cento di iraniani che non sono andati a votare. Pur non esistendo la possibilità di un governo progressista in uno stato teocratico (assurdo), gli elettori si nono mostrati tutt’altro che entusiasti del loro nuovo presidente.
E se un candidato al ballottaggio era Mahmud Ahmadinejad, l’altro Akbar Hashemi Rafsanjani era, da presidente del parlamento (si fa per dire) uno dei più ascoltati consiglieri di Khomehini (quel pezzo di medio evo che i francesi avevano cullato come un eroe dei lumi). Non aveva mosso un dito per difendere gli studenti, e si era barcamenato fra il fondamentalismo ed i fremiti di un popolo che, almeno in una sua parte, ne aveva piene le tasche di essere vittima di matti. Insomma, non era una gran scelta. Anzi, si può dire che se di Ahmadinejad non sappiamo quel che realmente farà, di Rafsanjani sappiamo che non era riuscito a fare nulla di utile.
Nella sua prima conferenza stampa il neoeletto si è rivolto agli europei dicendo loro che l’Iran sarà ben felice di fare affari, ma che pretende il rispetto politico e che si scordino di interferire nel campo dei diritti umani, poi ha aggiunto di guardare con interesse a quel che avviene in Cina. Nel grande continente asiatico, difatti, c’è un gran fervore affaristico, i Paesi dell’occidente fanno a gara per assicurarsi quote di mercato, e nessuno fiata se gli oppositori vengono passati sotto i cingoli dei carri armati. Ecco, la prossima volta che si sveglia di soprassalto, l’occidente, mediti anche sulle proprie colpe.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.