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Public Policy

Quale sarà il giusto livello di legiferazione?

Verso il G8 aquilano

È necessario ed urgente far regolare la globalizzazione finanziaria

di Angelo De Mattia - 13 giugno 2009

Ieri sera è iniziata, a Lecce, la riunione del G8 finanziario, alla quale partecipa anche il Governatore della Banca d’Italia come Presidente del Financial Stability Board. La riunione dovrà preparare il G8 aquilano dei Capi di Stato e di Governo del prossimo mese di luglio. Si tratta, dunque, dell’ultimo momento preparatorio. I temi affrontati sono molteplici. Ma si concentrano principalmente sul global standard, sulla stabilità finanziaria, sulla effettiva dotazione delle risorse per il Fondo monetario internazionale deliberate nel vertice del G20 di Londra, sui diritti speciali di prelievo e, naturalmente, su di un esame dello stato della crisi.

Negli ultimi tempi, la materia delle nuove regole della finanza e dell’economia ha avuto un’evidenza calante nei mezzi di comunicazione, nonostante le attese del vertice di luglio. Effetto, forse, delle previsioni di una ripresa della crescita nel 2010, a fronte delle quali tuttavia vi è un’attesa, per i prossimi mesi, di riduzioni di occupazione e reddito, come ha ricordato il Governatore Draghi. Si tratterebbe dell’effetto “Apocalisse ormai alle spalle” che potrebbe avere ingenerato una situazione di minore attenzione su ciò che è necessario ed urgente fare per tentare di regolare la globalizzazione finanziaria.

Può avere concorso alla minore attenzione al tema la perdurante indeterminatezza della formula global standard, mentre nette sono risultate le decisioni adottate dal richiamato G20 di Londra su paradisi fiscali, contrasto del protezionismo, hedge fund, remunerazione dei manager e sull’equilibrio, in quell’occasione calibratamente raggiunto, tra promozione delle nuove norme e impulso alla ripresa con interventi pubblici, anche attraverso il Fondo monetario.

Prima della riunione leccese vi sono stati un incontro di esperti internazionali, nelle scorse settimane, voluto dal Ministro dell’Economia e conclusosi all’insegna della rivalutazione del ruolo della politica nei confronti dell’economia, e la riunione del G30 promossa recentemente, a Roma, dal Governatore della Banca d’Italia, che ha fatto sentire la voce di coloro che con la finanza sono a contatto quotidiano, ma, nel contempo, si trovano nella condizione, per il ruolo ricoperto, di poter produrre un’analisi non di parte relativamente alla crisi e ai suoi insegnamenti.

Un fatto è certo. Chi aveva pensato, fin dagli ultimi mesi dell’amministrazione Bush, a una nuova Bretton Woods per rispondere agli sconvolgimenti nell’economia e nella finanza, da convocare in poco tempo, non ha potuto che ricredersi e fare ammenda delle illusioni frettolosamente concepite. E’ giusto aspirare a un nuovo ordine monetario internazionale. Che, però, potrà realizzarsi – condizioni politiche permettendo – solo in un assai lungo arco di tempo e non potrà limitarsi alle regole della finanza e dell’economia, ma dovrà riguardare pure il governo della moneta.

Oggi, è illusoria, anch’essa, l’ipotesi della costituzione di una Banca centrale mondiale, ma il problema della regolazione della liquidità internazionale – che sicuramente impinge nei poteri dei singoli Stati – non tarderà in futuro a porsi nella sua ineludibilità. Così come, all’interno dei diversi Paesi, la vigilanza sul credito e la finanza non sostituisce certamente la politica monetaria, ma semmai con questa si integra, allo stesso modo non sarebbe sufficiente, a livello globale, introdurre soltanto nuove regole.

Vi è, poi, da aggiungere che, in quest’ultimo campo, i diversi Paesi e le aree regionali iniziano a decidere, a ranghi sciolti, sia pure per specifici problemi, senza attendere gli indirizzi internazionali o dando seguito a quelli deliberati dal ricordato G20, come, ad esempio, sta accadendo in tema di remunerazione dei manager.

In effetti, i tempi di alcune, urgenti scelte non coincidono con quelli della formazione della volontà da parte degli organismi globali. Un ulteriore elemento di complicazione è dato dalle perplessità sulla idoneità del G8 de L’Aquila a decidere su di una materia quale il global standard che, in qualche modo, è stata attratta alla competenza del G20 ed è stata inserita nell’agenda dei lavori di quest’ultimo per il prossimo autunno, nonostante le posizioni di qualche Governo volte a evidenziare il possibile conflitto su materie della specie con i Paesi emergenti (facenti parte del G20, ma non del G8).

Potrà influire, poi, sulla situazione attuale e sui lavori di luglio anche l’orientamento che assumeranno le istituzioni comunitarie e i Paesi dell’Unione europea dopo le recentissime elezioni, con il significato che i risultati potrebbero avere per le politiche economiche, innanzitutto sulle delicatissime questioni del protezionismo e, poi, dell’assetto dei controlli sugli intermediari creditizi e finanziari.

E’ da notare che, a tutt’oggi, mentre per l’Italia si conosce la situazione delle banche nei confronti della crisi e di quel sistema bancario ombra a livello internazionale che la crisi stessa ha fatto emergere – Draghi ha ricordato che gli istituti di credito hanno un’esposizione contenuta verso i prodotti della finanza strutturata e che non sono appesantiti dall’eredità del passato – per l’Europa, a tutt’oggi, nessuna autorità ha ancora rassegnato un riferimento del genere.

Ma, come si è accennato, è il concetto stesso di global standard che permane abbastanza indefinito. Se si assume il significato di norme e criteri omogenei sulla proprietà e sulla integrità e trasparenza delle attività economiche e finanziarie, se ne può dedurre che si continua a oscillare – come già segnalato da Mf/Milano Finanza – tra principi giuridici generali e concrete disposizioni operative: insomma, tra il perseguimento di un “prodotto” che è prossimo al diritto naturale o ai doveri etici e l’adozione di concrete regole dell’agire e dell’informare.

E, tuttavia, quanto più ci si sposta nella definizione di questa materia – che a volte sembra assumere i caratteri dell’Araba fenice – verso la disciplina dell’operare, tanto più ci si avvicina all’area di competenza del Financial Stability Board che finora ha prodotto raccomandazioni e indirizzi in corso di adozione negli ordinamenti settoriali dei diversi Stati.

D’altro canto, l’area di intervento di norme che si vorrebbe mirare alla proprietà e alla trasparenza potrebbe essere enorme. Quale sarà il giusto livello di legiferazione? Non si correrà il rischio di concepire una funzione nomopoietica destinata a cogliere, magari, un effetto d’immagine, ma a determinare scarse conseguenze concrete, soprattutto se preliminarmente ci si volesse orientare alla redazione di un “manifesto”, una “tavola dei principi”, secondo una iniziale, ma già abusata tendenza?

In questo contesto, non sarebbe preferibile rafforzare, semmai, le regole prodotte dal Financial Stability Board, se del caso estendendone la portata, piuttosto che operare una separazione, configurando queste ultime come disposizioni tecniche e le altre – tutte ancora da definire – come norme di carattere generale? E, comunque, sarà mai possibile sganciare la formazione di queste ultime dai processi attraverso i quali esse poi devono essere recepite negli ordinamenti nazionali e, quindi, la loro concreta attuazione deve essere sorvegliata?

Insomma, c’è un continuum tra elaborazione delle norme, adozione da parte dei singoli Stati, vigilanza sulla loro entrata nei rispettivi ordinamenti e, infine, controlli, interni e internazionali, sulla loro osservanza. Intanto, sarebbe già meritorio, proprio in nome della trasparenza che si intende affermare, se oggi, nella prevista conferenza stampa, si illustrassero il significato, le materie interessate e i limiti del global standard, il rapporto con la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali nonché la relazione con le regole già prodotte dal Board della Stabilità.

Quanto, infine, alle ricadute nel nostro Paese, non sarebbe fuori luogo se si cogliesse l’occasione per informare su ciò che si intende fare, per la parte di competenza, per concorrere all’azione di contrasto dei paradisi legali e fiscali e sull’esistenza o meno – essendo passato il momento elettorale – dell’ipotesi di uno scudo fiscale ter, che non potrebbe non presupporre un maggiore rigore, anche penale, nel sanzionare l’operatività nei centri offshore e consentire, transitoriamente, il rientro dei capitali investiti, a precise, significative condizioni.

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