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La politica settentrionale

Vento del nord

L'Italia, durante la seconda Repubblica, è stata sempre governata dal Nord. Altro che dominanza sudista

di Davide Giacalone - 27 marzo 2014

Baloccarsi con i dati, esaltando o contestando il voto al “plebiscito” veneto, non è avvincente. Perché l’esito pratico è comunque nullo e il clamore comunque alto. E’ sciocco dire che i veneti si sono espressi per la secessione. Lo è anche far finta che non sia successo nulla. Ho scritto che vanno presi sul serio e lo confermo, ma questo comporta il ragionare, senza timori e in modo scomodo: sono venti anni che l’Italia è governata dal nord. Non potendosi secedere da sé medesimi, né in tal modo risolvendo alcunché, grattiamo la superfice e proviamo a comprendere le ragioni profonde e le contraddizioni evidenti.

Da quando i vecchi partiti politici sono stati liquidati ed è nata la deforme seconda Repubblica, i governi sono stati guidati da: Berlusconi e Monti, lombardi; Amato, piemontese; Prodi, emiliano; Dini, Letta e Renzi, toscani; nonché da D’Alema, il più meridionale, ma solo romano. Anche a volere annettere il Lazio al sud, tesi geograficamente ardita, la prevalenza nordica è schiacciante. Di più, gli attuali governatori delle più grandi regioni del nord sono stati a lungo e ripetutamente membri del governo centrale: Cota, Piemonte, sottosegretario alle attività produttive; Maroni, Lombardia, ministro del lavoro, degli interni e vice presidente del Consiglio; Zaia, Veneto, ministro all’agricoltura. Potrei aggiungere i molti, influenti membri dei vari governi, a loro volta espressione politica del nord (nel caso veneto era ministro anche il predecessore di Zaia, Galan), ma non serve. Come si può sostenere che tutta questa gente sia stata vittima della dominanza sudista? Come si può credere che i trasferimenti fiscali si debbano a governanti meridionali?

Non bastasse questo, gli ultimi venti anni sono stati attraversati da una ubriacatura federalista, che di federalismo non aveva nulla, ma aveva messo solide radici elettorali nel centro destra, con la Lega (il cui leader, Bossi, è stato al governo), e radici programmatiche anche a sinistra, visto che fu questa parte politica a volere e votare la tragedia della riforma costituzionale, causa di mali e sprechi. Il nord, quindi, non solo governava, ma aveva forza attrattiva.

Aggiungo un dettaglio, che aiuta a capire: il Trentino Alto Adige, con le due province autonome di Bolzano e Trento, si trova ancora più a nord, ma gli unici fermenti secessionisti che si ricordano hanno radici ben diverse, e un partito locale assai forte, la Svp, non è secessionista. Come mai? perché il saldo fiscale è attivo: ricevono più di quel che versano.

Sono convinto che nessun consistente gruppo di italiani abbia voglia e intenzione di andar via dall’Italia, mentre molti vorrebbero potere scappare dal satanismo fiscale. L’equivoco di forze politiche che hanno governato, cavalcano il separatismo e si dicono alleate di forze che esaltano lo “Stato nazione” (come fa Le Pen in Francia), è destinato a svanire. La contraddizione del localismo alimentato dall’indebolimento degli stati centrali, ma propagandato da chi dice di volere uscire dall’euro, ovvero da quel che rende plausibili le secessioni, è destinata a esplodere. Ma questo è solo contorno, la sostanza è che la pressione fiscale è insopportabile e chi non può andare fisicamente via (opportunità che si offre ai molto ricchi e agli emigranti) cerca una via di fuga più vicina. Quale che sia. Ed è qui che tornerebbero utili le forze politiche, se esistessero e se non fossero solo comitati elettorali, perché toccherebbe loro interpretare questa esigenza coniugandola con la realtà. Come? Praticando politiche che facciano scendere la spesa pubblica, restringano il perimetro d’azione della mano pubblica e abbattano il debito, così propiziando la dieta fiscale. Cosa possibile con le vendite e le riforme. Ma se poi ti trovi il ministro che dice: mandiamo in pensione anticipata un bel po’ di statali, così assumiamo i giovani al loro posto, allora capisci che la deficienza culturale e l’inadeguatezza morale sono destinate a generare mostri.

Che ti serve, a quel punto, sapere quanti veneti hanno veramente votato a un plebiscito che di suo non è efficace? Tanto sai già quel che serve: con una politica di quel tipo si va comunque allo sfascio. Per questo vanno presi sul serio. Sia i veneti che si agitano che i ministri che straparlano. Ai primi non risparmiando la cruda raffigurazione della realtà, così consolidata anche dalla classe dirigente del nord (e veneta in particolare). Ai secondi rammentando la fine che fanno i governi degli incapaci, o, quanto meno, la veneta saggezza popolare: prima de parlar tasi.

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