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Commissione europea: un altro verdetto negativo

Urgono scelte fondamentali e strutturali

È necessaria una reazione forte, da parte delle istituzioni della politica e delle parti sociali

di Angelo De Mattia - 20 gennaio 2009

La Commissione europea ha emesso ieri il suo verdetto per l’Italia: crescita del pil nel 2009 al -2 per cento, in puntuale concordanza con le stime Bankitalia che, evidentemente, non è sola nel produrre, per rimanere alla immaginifica, ma sterile osservazione del Ministro Tremonti, “esercizi congetturali” o stime da astrologia.

E’ vero che ci troviamo in “terra incognita”, ma nessuno ha deciso di sbarazzarsi dell’apparato di previsioni proprio mirate a far luce sul terreno sconosciuto. Ma c’è di più: il rapporto deficit/pil salirà quest’anno al 3,8 per cento (3,7 nel 2010) e il debito pubblico crescerà al 109,3 per cento, sempre nel 2009 (addirittura al 110,3 nel prossimo anno). L’inflazione farà un tonfo all’1,2 per cento. Continuerà, nell’anno in corso, la perdita di posti di lavoro, con un significativo aumento del tasso di disoccupazione.

In questo quadro, le ricapitalizzazioni bancarie – secondo la Commissione – potrebbero spingere il debito ancora più in alto: qui siamo di fronte ad una osservazione che andrà approfondita per verificare la coerenza con quanto finora è stato asserito dal Tesoro circa l’impatto delle ripatrimonializzazioni sui conti pubblici. Il quadro comunque è decisamente fosco; forse più di quello rappresentato dall’Istituto di via Nazionale (e bisognerà leggere bene nelle cifre per valutare le concordanze). L’Italia, tuttavia, non è sola. Undici paesi sono in recessione e quattordici presentano un deficit che va oltre il 3 per cento.

In diversi casi i piani anticrisi fanno innalzare il disavanzo ben oltre quello previsto per l’Italia. Peraltro, le specificità tutte italiane (deficit, debito, occupazione etc) rendono la situazione più delicata di quella degli altri paesi pure in recessione. E quest’aspetto fa sì che sia impossibile appellarsi al pur deleterio “mal comune mezzo gaudio”.

Se la recessione è dura, se non si può, rebus sic stantibus, dare impulso all’economia (adesso è in corso un’altra querelle fatta di giochi di parole contro gli “stimolisti”) perché l’elevatissimo debito pubblico impedisce di ricorrere in maniera più ampia a strumenti fiscali – come sostiene Bruxelles – allora come ci si deve comportare? Si deve attendere fatalisticamente che la crisi sia affrontata e contrastata solo a livello globale? In che modo? Presupponendo che il prossimo G7 di febbraio abbia questo potere e, magari, preparandosi ad esso con un exploit sul piano comunicazionale e dell’immagine? Certamente a quel livello, come a quello europeo e internazionale, dovranno essere compiute scelte fondamentali. Oggi si insedia la nuova amministrazione Usa.

Obama non ha nascosto (altro che vacuo ottimismo) che la recessione sarà lunga e pesante e tuttavia – ha aggiunto – che confida nella possibilità di superarla. Un discorso che richiama una visione churchilliana delle difficoltà. L’Europa ha tutto l’interesse a che l’America fronteggi adeguatamente la crisi e riesca a superarla.

Ma i livelli superiori non sono trascendenti (per rimanere alle citazioni e alla cultura filosofiche del Ministro dell’Economia, sono semmai trascendentali). Le decisioni da assumere da parte di quelle istanze si costruiscono con l’apporto dei singoli paesi e sono sostanziate dalle politiche per l’economia e per la finanza pubblica di questi stessi paesi. Soprattutto perchè è da un po’ di tempo che alla crisi della finanza si è aggiunta la crisi della contagiata economia reale, che ha caratteri più specificamente nazionali. Oggi la scelta dell’attesa sarebbe la scelta di una non politica economica. E l’Italia non lo meriterebbe perché non è ancora con le spalle al muro. E’ in queste difficili condizioni che debbono operare, al massimo delle loro possibilità, le due leve, della politica economica e della politica del credito. Si possono così aprire delle prospettive.

Nell’anno verranno a scadenza circa tre milioni di contratti stipulati da “precari”. Si corre il rischio che essi non saranno rinnovati. Per assicurare un’adeguata protezione sociale occorrerebbe disporre di una strategia economica organica che, purtroppo, non si vede. Tuttavia, dal quadro presentato dalla Commissione si può inferire che esiste una via d’uscita, per la parte che riguarda l’Italia, ferme restando le iniziative, cruciali, da promuovere a livello internazionale in materia di regole, politiche e strumenti.

E la via è data dall’urgente ripresa delle riforme strutturali – cominciando con l’innalzamento dell’età di pensionamento – con lo scopo di rassicurare i mercati e aprire la possibilità, con la liberazione di risorse, di un maggiore impegno propulsivo da attuare con forme mirate di detassazione o di erogazione aggiuntiva della spesa in maniera selettiva. L’inazione o la sola preparazione delle prossime scadenze internazionali non risolvono nulla. Ieri, anche Trichet ha sottolineato le gravissime difficoltà che incontreremo nell’anno in corso.

Sarebbe, allora, necessaria una reazione forte, da parte delle istituzioni della politica e delle parti sociali. Occorrerebbe un’ampia convergenza. Insomma, una coesione al di là della distinzione tra maggioranza e opposizione – un assetto bipartisan, in forme adeguate – che consenta di porre in essere con urgenza le misure più efficaci a sostegno dei redditi, dell’occupazione, a tutela del risparmio. E permetta, altresì, di presentarsi con maggiore forza e autorevolezza nelle sedi internazionali nelle quali si affronteranno i problemi della crisi e si definiranno le linee di contrasto.

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