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La settimana terribile di Grillo

Uno non vale uno

Dalla batosta delle amministrative allo scontro con Rodotà, passando per l'inconcludenza dei "cittadini" parlamentari. E la filosofia alla base del Movimento inizia a scricchiolare.

di Marco Dipaola - 02 giugno 2013

"Uno vale uno" è una sacrosanta cavolata. La massima alla base del Movimento Cinque Stelle, quella per cui i deputati non vanno chiamati "onorevoli" ma "cittadini", per cui un "movimento" non sarà mai un "partito" e per cui non esistono organi interni, segreterie, congressi, ma solo la rete, è risultata perdente, e il voto delle amministrative - specie quello di Roma - ne è stata la lampante dimostrazione.

Grillo e i suoi hanno prima perso quasi metà del consenso ottenuto alle politiche, poi si son scagliati contro gli elettori, che con il loro voto “hanno distrutto il Paese condannandolo ad una via senza ritorno” e infine il comico genovese ha lanciato dal suo blog un’invettiva nei confronti di Stefano Rodotà, colpevole di aver criticato la strategia politica dei pentastellati. L’ultima settimana, quindi, è stata di gran lunga la più difficile per il Movimento, ed è culminata nello scontro paradossale con il proprio candidato – dopo le rinunce di Milena Gabanelli e Gino Strada – al ¬Quirinale, trasformato in un mese dall’unico “Presidente voluto dai cittadini” in opposizione al “Presidente voluto dai partiti”, ovvero Giorgio Napolitano, in un “ottuagenario miracolato dalla rete sbrinato dal mausoleo dove era stato confinato dai suoi”.

Insomma pare proprio che la bussola strategica – ammesso che sia mai esistita – sia stata smarrita dal Movimento Cinque Stelle e da Beppe Grillo in particolare. La sensazione è che prevalga cocciutaggine e ostinazione, rispetto all’umiltà di ammettere di aver compiuto qualche errore. In effetti nei tre mesi trascorsi dal successo sbalorditivo del 25 febbraio qualcosa dovrà esser pur successo.

Nel frattempo, ad esempio, ci sono state le scelte di governo, anzi le "non scelte" di governo. Il no alla proposta del Pd – in realtà decisamente strumentale e confusa – sull’esecutivo di cambiamento, la spocchia dei capigruppo Crimi e Lombardi nei colloqui in streaming con Bersani e Letta, le cacciate interne dei “cittadini” troppo avvezzi ad interviste televisive e le stucchevoli discussioni sulla diaria, hanno confermato quello che si sapeva già: dilettantismo puro in un momento economicamente e socialmente terribile per il Paese.

Il cuore della filosofia grillina, allora, ha iniziato a perdere colpi. La regola di far eleggere chiunque, purché sia estraneo a qualsiasi partito, abbia la capacità di smanettare on line e rispetti programma condiviso e codici di comportamento, è risultata sterile e inconcludente. Allora vien da porsi un paio di domande alla luce dei risultati delle amministrative: quanto paga insistere nel sovvertimento delle regole basilari della rappresentanza (un leader che sia candidato e candidabile e degli organi dirigenti)? Oppure, che senso ha allargare il concetto di democrazia diretta anche alle amministrazioni locali?

Alle politiche, grazie al porcellum sono stati eletti “cittadini” senza alcuna corrispondenza con i territori. Esemplare il caso di Vincenza Labriola, eletta alla Camera grazie all"ottimo risultato del M5S a Taranto, dopo che, nella stessa città e solo un anno prima, aveva ricevuto alle comunali la bellezza di un, e dicasi un solo voto. Per le amministrative questo non è possibile. Sul territorio conta il radicamento, contano i volti dei candidati, la loro competenza, il loro saper fare, la loro capacità di comunicare.

Si guardi il caso Parma, ormai colpevolmente dimenticato, in cui si è sottovalutata l"abilità di Pizzarotti di risultare pulito, nuovo e degno di fiducia. Quella scelta di credibilità, abbinata all’indubbia ventata di novità portata dal Movimento, non è stata più replicata. Si è pensato che bastasse un megafono potente e micidiale come Beppe Grillo, e due, tre argomenti girati e voltati come un surgelato in padella - politici ladri e corrotti, reddito di cittadinanza, tutti a casa - per sparigliare. Invece alle prime prove "politiche" e non "movimentiste", i Cinque Stelle sono risultati deboli e impacciati, e non in grado di rispondere alle aspettative del proprio elettorato.

Visto che la modifica della legge elettorale, più volte auspicata anche dal Presidente Napolitano, sembra essere una delle priorità di questa legislatura, il M5S farebbe bene ad attrezzarsi sul territorio con gente valida in carne ed ossa, e non semplicemente con militanti attivi sul web. Detto questo, chi pensa che il Movimento Cinque Stelle, con i suoi contenuti innovativi e la sua capacità di intercettare il malcontento galoppante del Paese, sia finito, sbaglia. Ma pare altrettanto evidente come l"urlo dell"invettiva ad ogni costo debba essere accompagnato dal pragmatismo delle scelte. Scegliere vuol dire non irrigidirsi su posizioni irrealistiche e irrealizzabili, vuol dire non aver timore di puzzare di inciucio se si condividono posizioni programmatiche. La strategia "politica" e non "movimentista" non può ridursi ad un "vaffanculo". Serve altro, molto altro. Uno non vale uno, vale molto di più.

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