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Urge una riforma del sistema cooperativo

Unipol, il doppio errore dei Ds

La sinistra risolva la sua crisi ed elimini l’anomalia prodiana per poter governare

di Fabio Fabbri - 10 gennaio 2006

Per quanto si tenti di circoscrivere e minimizzare, la bufera di Unipol durerà a lungo, con effetti incisivi sulla vita pubblica. In un mio articolo ospitato ai primi di settembre sul Sole 24 Ore avevo scritto: “Chi salta dalla parabola di Natale di Prampolini alle intese con Gnutti e Fiorani rischia di rompersi l’osso del collo e di compromettere prestigio e ruolo del movimento cooperativo”. Purtroppo, la facile previsione si è avverata. Il terremoto sommuove la politica e l’economia. Può trasformare la lista unitaria fra Ds e Margherita in associazione temporanea fra avversari: se non fra nemici. Torna di scottante attualità il rapporto fra politica e affari, complicato nel nostro caso dalla presenza sul mercato di un attore “politicamente orientato”: il conglomerato delle cooperative associate alla Lega, che è storicamente una costola della sinistra. Sorprende dunque che, dopo Pierluigi Bersani, anche il Presidente della Regione Emilia-Romagna si ostini a negare il “collateralismo”. Proprio perché il legame è così stretto da provocare ripercussioni politiche negative alla vigilia delle elezioni, il sostanziale patrocinio all’avventura temeraria dell’assicuratrice bolognese da parte dei Ds è stato sconveniente. Ed è stato un secondo errore perseverare nell’offerta di acquisto di Bnl (Opa) anche dopo la caduta rovinosa di Consorte e Sacchetti: il progetto è inseparabile dai suoi ideatori, giacché resta sempre vero che la natura delle cose, come insegna il filosofo, sta nel loro nascimento. Sarebbe stato saggio ricercare subito una decente via d’uscita, evitando un indebitamento altamente rischioso: anzi, insostenibile, specialmente se si dovesse aprire, per estraneità allo scopo sociale, la falla dei finanziamenti dei soci delle cooperative della Holmo. Molto meglio sarebbe, per contro, mettere subito mano a quel processo di riforma del sistema cooperativo che il disastro Unipol ha rivelato essere urgente e necessario. La riflessione è già in corso. L’ex Presidente della Lega Lanfranco Turci, che non ha atteso la debacle per esprimere le sue riserve, ha già fornito indicazioni meritevoli di approfondimento. Nell’occhio del ciclone sono proprio i cooperatori della nostra regione, quelli del “modello emiliano” dell’asse Reggio-Modena-Bologna. Essi hanno sfidato il dissenso dei toscani e del sindacato ed hanno perso. Vedremo se saranno capaci di un forte sussulto, reso palese dal ricambio del gruppo dirigente e dall’attuazione di nuove direttrici di sviluppo in campo sociale, produttivo e commerciale. Si può stare al passo con l’economia moderna nel solco dei valori del mutualismo: applicando le regole della collegialità, intensificando la partecipazione dal basso e moltiplicando le linee di controllo.

Come era prevedibile, si è riacceso, al cospetto della cornucopia di “plusvalenze” e “consulenze” milionarie, il dibattito sulle relazioni fra politica e morale: questione per cui è improbabile che si possa giungere ad una “codificazione” da tutti condivisa. E’ lecito tuttavia osservare che l’amara esperienza degli anni della cosiddetta Tangentopoli non sembra essere servita. E’ stata finora rifiutata la via maestra della trasparenza, che pure ha dato buona prova negli Usa. E non si è neppure compreso che quello del finanziamento della politica è un campo minato, in cui si deve procedere con sorvegliata prudenza. Quando interrogai Norberto Bobbio sulle degenerazioni della cosiddetta “Tangentopoli”, mi disse che soprattutto era venuto meno in larga parte della classe politica il senso della misura nell’esercizio del potere. A ben vedere, i raider di Unipol, e quanti li hanno sostenuti sul piano politico, hanno mostrato un forte deficit di misura nell’esercizio delle loro responsabilità. Come suggerisce Thomas Nagel, esponente del pensiero analitico anglosassone, la teoria morale non basta a fondare l’etica pubblica. Una parte essenziale spetta alla capacità di valutare con giudiziosa prudenza il singolo caso, privilegiando l’esigenza di rendere accettabile agli altri, secondo i valori correnti, la soluzione proposta.

Sta di fatto - per ritornare all’attualità - che il partito dei Democratici di Sinistra ha perduto l’aureola della pretesa “diversità” berlingueriana e sta vivendo ore drammatiche, attaccato più dagli alleati che dagli avversari. Personalmente, ho apprezzato la lezione di stile di Enrico Boselli, leader di quel che è rimasto del socialismo italiano: “Non ci comporteremo con loro, come loro si comportarono con noi”. Dunque niente processi sommari e rifiuto della gogna mediatica. E tuttavia una riflessione autocritica appare doverosa, come ha pacatamente suggerito il senatore a vita Giorgio Napolitano. Essa dovrebbe investire non solo la malaccorta gestione del caso Unipol, ma la stessa strategia politica incentrata sull’ipotesi illusoria del partito democratico: una prospettiva a lunga ed incerta scadenza, sostituita intanto da una sorta di “tirannia” di Romano Prodi. Il professore di Scandiano, che pure deve il suo successo nelle primarie principalmente all’impegno profuso in suo favore dai post-comunisti, ha ripagato i suoi benefattori con un gelido sermone La stessa ingratitudine riservata ai socialisti dello Sdi, tenuti sulla soglia dell’alleanza insieme ai Radicali. Se non sarà prontamente superato questo eccesso di potere in capo a un demiurgo senza partito (il “prodismo” è l’anomalia italica simmetrica a quella del “berlusconismo” sull’altro versante), e se non sarà positivamente risolta la crisi della Quercia, scossa dalla caduta di immagine, dai contrasti interni e dalla dura concorrenza degli altri partiti dell’opposizione, il centro-sinistra, quand’anche vincesse le elezioni (previsione quasi scontata qualche mese fa, ora non più), non sarebbe in grado di garantire al Paese un’efficace azione di governo.

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 6 gennaio 2006

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