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È davvero così divertente essere un giovane?

Una vita perennemente incompiuta

I dolori del giovane Marco (ma anche Piero, Caterina, Marcello, Martina…)

di Marco Scotti - 09 ottobre 2009

L’Italia è un paese in ginocchio. Uno Stato ormai privo di qualsiasi competitività, in cui quelle poche aree di eccellenza sono completamente assorbite da una serie di disfunzioni che rendono il famoso “sistema paese” un gigantesco agglomerato di malfunzionamenti, disguidi e inefficienze. Il lavoro funziona male, malissimo, se si pensa che il precariato, che doveva essere impiegato per permettere ai giovani di sperimentare una serie diversa di opportunità lavorative prima di capire cosa volessero realmente “fare da grandi”, è ormai l’unico strumento di assunzione che le aziende utilizzano.

Questo significa che la mia generazione deve accantonare, o quantomeno posticipare a data da destinarsi, quello che per i nostri genitori era sostanzialmente una certezza: matrimonio, una casa di proprietà, dei figli. Un tempo si diceva generazione “x”, oggi la nostra non può che essere “z”, visto che è ultima in tutto.
Un giovane, come me, si ritrova stritolato da un meccanismo che si è inceppato, ma che non ha più alcun interesse a cercare di smuoversi. Pensiamo ai famosi “cervelli in fuga”, costretti ad abbandonare il nostro Paese per poter proseguire ricerche, studi o anche solo per ottenere un’istruzione migliore.

Già, perché l’annuale classifica delle università mondiali (prime 200 posizioni), vede un unico ateneo a rappresentare l’Italia, quello di Bologna, che si piazza ad un “entusiasmante” 174esimo posto. E gli altri? Non ci sono. E perché? Perché l’Italia non è in grado di proporre un’istruzione decorosa. Fino a che questo non verrà gridato ad alta voce, fino a che ci si vorrà paragonare a Stati come gli USA o il Regno Unito (che, per inciso, piazzano rispettivamente 7 e 3 università nella classifica delle prime 10), rischieremo soltanto di coprirci sempre più di ridicolo.

Abbiamo un’istruzione vecchia, priva di ogni respiro internazionale, che non riesce a formarci come uomini che dovranno competere su un mercato del lavoro che, come minimo, deve essere europeo.

Prendiamo, per esempio, la classe manageriale che ha adesso intorno ai 35-40 anni e andiamo a scorrere i loro curriculum. Tutti, o la stragrande maggioranza, hanno perfezionato il proprio bagaglio culturale all’estero, con master soprattutto nei paesi anglosassoni. Chi non possiede questo tipo di credenziali è destinato, inevitabilmente, a ricoprire ruoli marginali e mai di vertice.

Come possiamo tradurre questo? Semplice: l’istruzione italiana non funziona, e non offre una preparazione ai proprio laureati che permetta loro di ricoprire ruoli di primo piano. E chi non può permetterselo? Sostanzialmente, affari suoi.

Non possiamo dimenticare che i problemi dell’Italia partono da lontano e che l’attuale classe politica è inadeguata perché non fa niente per incentivarci a crescere, salvo poi chiamarci “bamboccioni” perché non usciamo di casa, dimenticando che, al contrario di altri paesi soprattutto del nord Europa, non godiamo di quei “prestiti d’onore” che permettono ai giovani di frequentare l’università e poi restituire, una volta ottenuto un lavoro, quanto ottenuto dallo Stato.

Sono anche stati fatti dei tentativi da parte di una grande banca nostrana: le condizioni erano talmente sfavorevoli da rendere inaccessibile a chiunque, se non a chi non ne aveva alcun bisogno, la possibilità di accedere a questo tipo di credito. Ora ditemi voi, è davvero così divertente essere un giovane?

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.