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I dissidenti possono far cadere il Governo

Una sinistra oltre il socialismo

L’aspirazione di Massimo D’Alema, i ritardi e le contraddizioni mai chiarite

di Elio Di Caprio - 22 gennaio 2007

Non ci sono in Senato solo i voti dei sette senatori a vita che fanno pendere la bilancia del voto paritario – 156 contro 156 – a favore del Governo in carica, ci sono anche i sei-sette dissidenti dell"estrema sinistra che possono, da un momento all’altro, rompere le righe della disciplina di partito e far cadere il Governo, magari sul rifinanziamento della nostra missione in Afghanistan o sull’estensione della base americana di Vicenza. Se ne è accorto, allarmato, persino Eugenio Scalfari di Repubblica che soltanto ora fa ammenda e si rammarica nel riconoscere che “l’errore fu di averli portati in Parlamento pur conoscendone il carattere e l’ideologia del tanto peggio tanto meglio che alligna in quelle teste pseudo-rivoluzionarie”. Detto da sinistra non è male. D’altronde come si sarebbe mai potuto sconfiggere il “demonio” Berlusconi senza mettere alla rinfusa nella lista di centro-sinistra tutto e di più, dai sempiterni rivoluzionari- antagonisti alla Caruso ai pentiti del terrorismo di sinistra, come D’Elia e co., ora ospitati nelle liste radicali? Di chi la colpa o la responsabilità? Non basta prendere le distanze dagli estremisti, dai soliti compagni che sbagliano, se poi viene fuori alla radice un vero e proprio malessere identitario, un problema di ritardo culturale della sinistra nel suo insieme, difficilmente colmabile con le pazienti fughe in avanti dei maggiori dirigenti dei DS.

La realtà ha smentito i vecchi canoni, la bandiera comune dell’arcobaleno non riesce, come ai tempi della protesta per l’intervento “missionario” dell’Italia in Iraq, a unificare e coprire le diverse istanze rivoluzionarie e pacifiste che fanno parte del patrimonio identitario della sinistra. Si fa un gran parlare del fondamentalismo islamico fondato sulla religione-verità dell’Islam e della difficile emersione di un Islam moderato che gli faccia da contrappeso. Ebbene non dimentichiamo che nel laico Occidente, e in Italia in particolare, per decenni ha avuto successo e si è radicato un altro fondamentalismo, sia pure di natura illuminista, che vedeva la storia regolata da leggi ferree con l’immancabile vittoria della rivoluzione comunista. Gli stessi DS che in maniera confusa vorrebbero costituire il nuovo Partito Democratico si portano dietro questo retroterra, sono i più duri nella critica alla “zavorra” estremista che ora li condiziona, ma sanno bene che questa non rappresenta solo frange marginali, è parte della loro identità. Per questo sono costretti a salti acrobatici da neofiti per dimostrare che non sono più rivoluzionari, ma solo sanamente riformisti e moderati in politica estera. Un esponente di punta dei DS come Massimo D’Alema è dal 2003 vicepresidente di quell’Internazionale Socialista che ai tempi di Craxi e del PCI era considerata con sufficienza un’alleanza socialdemocratica e antirivoluzionaria. Il vero “vulnus” che crea disorientamento e perplessità è che siano proprio gli ex comunisti a guidare il processo riformista. Con risultati paradossali nella loro storia recente: sono passati disinvoltamente dalla contestazione del PSI di Craxi considerato troppo di destra, all’accettazione supina di tutte le svolte del “liberal-capitalismo” degli anni 2000, comprese le privatizzazioni nei settori base dell’economia che l’ex segretario del PSI non avrebbe mai accettato nei modi e nella misura in cui sono state fatte. Vuol dire ciò che gli ex comunisti, nonostante i loro precedenti rivoluzionari, si sono rifatti una verginità e sanno adattarsi ai tempi ed agire in campo riformista meglio dei socialisti di una volta?

Le agende dei riformisti sono piene di belle parole e di buone intenzioni e lo stesso Massimo D’Alema invoca ora una sinistra che vada oltre il socialismo, non si sa dove. Andare oltre è sempre stata l’aspirazione dei leaders politici consapevoli delle difficoltà ad indicare nuove mete ad una base sfiduciata, come è quella DS, abituata per troppo tempo alle verità rassicuranti del socialismo scientifico. Ma bastava che nei tempi giusti il PCI o il PDS andassero esplicitamente oltre il comunismo, prendendo tempestivamente atto del suo fallimento, senza aspettare il congresso della “Bolognina” degli anni ‘90, dopo la caduta del muro di Berlino. Non è successo e tutto si è risolto in una resa dei conti tra le nomenklature del partito, la cui staticità testimonia, ancora oggi, di quanto sia difficile andare oltre ed aprirsi a nuovi orizzonti. Se l’estrema sinistra è ancora in grado di condizionare pesantemente la sinistra istituzionale che vorrebbe raccogliersi sotto le insegne del Partito Democratico, se le teste calde pseudo-rivoluzionarie, di cui parla Scalfari, esistono ancora e possono far cadere il Governo, qualcosa è mancato nel processo di aggiornamento dell’intera cultura di sinistra che ha lasciato spazio all’ala fondamentalista per troppo tempo, compreso il periodo cruciale dell’antiberlusconismo esasperato. Non bastano perciò le fughe in avanti e l’andare oltre di D’Alema per dissipare le tante ambiguità e i tanti equivoci che si sono accumulati fino agli anni recenti. A meno che l’andare oltre il socialismo di D’Alema non serva proprio ad esorcizzare il pericolo di tornare indietro...

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