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Un quesito mondiale ansiogeno

Una nuova fase di recessione?

La risposta è no, ma l’Italia è il Paese a più alto rischio

di Enrico Cisnetto - 10 dicembre 2007

Domanda: il combinato disposto del credit crunch e del crollo della fiducia innescati dalla crisi finanziaria derivante dai mutui subprime, con il prezzo del petrolio stabilizzato sopra gli 80 dollari al barile, provocherà una recessione? Risposta: no. Se è vero che questo è il quesito più gettonato e ansiogeno del momento, francamente penso si possa essere certi: non ci sarà né una recessione mondiale – l’Asia cresce ancora a ritmi strepitosi, e le difficoltà del Giappone non sono una novità – né una recessione americana – sarà pure scontato un rallentamento nell’ultimo trimestre dell’anno, ma nel terzo l’economia Usa ha fatto la migliore performance degli ultimi quattro anni (+4,9%) – mentre è l’Europa a dare pericolosi segni di cedimento, e con essa l’Italia. Insomma, al di là degli oroscopi, è sensato prevedere che le linee di tendenza degli ultimi anni, che hanno visto l’affermarsi di un asse trainante dello sviluppo mondiale imperniato su Asia e Usa, si confermeranno anche nell’anno che sta per nascere.

L’Ocse, per esempio, ci conferma che il divario dell’economia italiana con l’area euro è destinato a consolidarsi. Assodato che il pil quest’anno salirà dell’1,8% in Italia e del 2,5% in Eurolandia, questo stesso differenziale di crescita di sette decimi di punto – oltre un terzo in meno – si avrà anche nel biennio 2008-2009, quando noi porteremo a casa un misero +1,3% contro il +2% o poco meno dell’area continentale (lo stesso livello d’incremento che avranno anche gli Stati Uniti del dopo subprime, a dimostrazione che la recessione americana non cè mentre il rallentamento europeo sì).

Tutto questo non giova all’Italia. La nostra economia è ormai da dieci anni indietro rispetto a Eurolandia, mediamente del 37% l’anno: tra il 1997 e il 2006 noi siamo cresciuti in media dell’1,4% all’anno, mentre l’area dell’euro del 2,2%. Nel decennio il differenziale accumulato nella creazione di ricchezza è stato di 8 punti, che diventano addirittura 18 rispetto agli Stati Uniti, visto che nel medesimo periodo la loro economia è cresciuta ad un ritmo del 3,2% all’anno, ben 2,3 volte superiore a quello italiano. Dunque, che la congiuntura internazionale sia sotto il segno del rialzo o sotto quello del rallentamento poco importa, perchè le nostre performance si mantengono distanziate da quelle continentali e da quelle americane in modo costante, impedendoci, come dimostrano i dati sul commercio mondiale, di recuperare quote di mercato. Persino sull’unico fronte in cui possiamo vantare dati migliori degli altri, quello del riassorbimento della disoccupazione, l’Ocse ci segnala che quell’essere calati sotto la soglia del 6% – meno della metà rispetto a 10 anni fa – lo abbiamo pagato moltissimo in termini di performance di produttività “molto povere”, tanto che il pil pro-capite per lavoratore è oggi inferiore a quanto fosse nel 2000, e ciò causa un costo del lavoro per unità di prodotto che ci spiazza nella competizione mondiale.

Se poi avesse ragione il pessimismo di Mario Baldassarri, che con il suo centro studi Economia Reale calcola per il 2008 un incremento del pil solo dello 0,6% – con un deficit pubblico che si riporterebbe pericolosamente intorno al 3% – sempre a fronte del 2% di Eurolandia, allora la domanda iniziale andrebbe riformulata così: “ci sarà la recessione in Italia?” Risposta: “forse sì”.

Pubblicato su Il Messaggero, Gazzettino, La Sicilia

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