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L’idea era fallita a causa del piano Rovati

Una newco controllata da Eni e Enel

La sentenza del Consiglio di Stato sulla Cdp rafforza il progetto della rete delle reti

di Enrico Cisnetto - 22 gennaio 2007

A volte, non tutto il male viene per nuocere. La sentenza del Consiglio di Stato che obbliga la Cassa Depositi e Prestiti a cedere o il 10,2% di Enel o il 29,9% di Terna, era temuta, visti i precedenti provvedimenti di Antitrust e Tar. Ma di positivo ha che finalmente obbliga la politica ad occuparsi di un asset strategico come la rete elettrica nazionale. E poiché non è pensabile che lo Stato perda il controllo di Enel – se Cdp vendesse a terzi, facendo scendere il Tesoro sotto il 30%, renderebbe scalabile il colosso dell’elettricità senza neppure l’opa obbligatoria – né che cerchi di piazzare quel pacchetto in qualche altro parcheggio (tipo Fintecna), non fosse altro per il suo costo (circa 5 miliardi), allora è logico lavorare alla risistemazione azionaria di Terna. Anche perchè la Cdp ha 24 mesi, a partire da luglio 2007, per prendere una decisione, e dunque c’è tutto il tempo per fare una scelta strategica invece che metterci la solita “pezza”. E siccome si è stabilito che al più presto nel 2009 l’Eni dovrà rivedere il suo rapporto con Snam Rete Gas, ecco l’idea servita su un piatto d’argento: “la rete delle reti”.

L’idea non è nuova, ma l’anno scorso è abortita prima ancora di nascere per colpa del famigerato “piano Rovati”, che voleva infilare nel progetto anche la rete fissa di Telecom. Oggi, però, alla luce della sentenza relativa alla Cdp, può essere riproposta, trovando il modo sia per tutelare Enel ed Eni – ultimi gruppi di grande taglia rimasti nel nostro capitalismo anoressico – sia per sfruttarne la loro capacità d’investimento. Come? Si può creare una newco, controllata pariteticamente da Eni ed Enel, nella quale si conferiranno le quote di Snam Rete Gas e di Terna, con l’obiettivo di arrivare, a regime, ad un’unica società delle reti energetiche, sul modello dell’inglese National Grid, il cui ottimo grado di efficienza deriva da tutte le sinergie attivate con l’integrazione. La nuova società – che potremmo chiamare Reti Italia – dovrebbe, per prevenire i problemi di antitrust, adottare una struttura di governance simile a quella di una public company. Un po’ come British Telecom che, attraverso una impenetrabile muraglia cinese, ha separato la gestione della sua rete fissa, aperta ai concorrenti, dalla proprietà. Eni ed Enel, dunque, sarebbero soci “sterilizzati” ma in grado di finanziare lo sviluppo di Reti Italia, sia per rafforzare la rete energetica nazionale, sia per comprare reti estere, sia infine per allargarne i confini (per esempio, perchè non pensare a Rai Way, che secondo la riforma Gentiloni sarà scorporata dal resto dell’azienda e quotata?).

Naturalmente, ci sarebbero molti problemi da superare, a cominciare dalla differenza di quote (50% quella di Eni in Snam, 29,9% quella di Cdp in Terna, cui si aggiunge il 6,1% rimasto all’Enel) e di valore (Snam capitalizza 8,5 miliardi, Terna poco più di 5) delle due reti. Ma questo è pane per la banche d’affari. Quello che importa, ora, è che si apra un confronto in sede politica e tecnica, e rigorosamente al di fuori delle non più sopportabili querelles dell’Authority per l’Energia con le aziende. Sapendo che, specie dopo il caso “gas russo” e la reazione tedesca, presto si andrà alla costruzione di una grande rete europea, nella quale potremo dire la nostra solo se avremo della company all’altezza di una partita riservata a pochi.

Pubblicato sul Messaggero del 21 gennaio 2007

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