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Luci ed ombre dei provvedimenti del governo

Una manovra economica gattopardesca

Pochi gli interventi positivi. Manca un reale rilancio dello sviluppo economico

di Enrico Cisnetto - 19 giugno 2008

E’ un po’ gattopardesca la maxi manovra economica varata ieri dal consiglio dei ministri. Apparentemente, un intervento di grande impatto: una Finanziaria triennale da 34,8 miliardi, di cui 13,1 nel 2009, accompagnata da un decreto a valere sul 2008 da circa 2,5 miliardi per riportare il deficit al 2,4% e da diversi provvedimenti di delega. Un intervento per riportare i conti in pareggio entro il 2011, in linea con il clima politico da “luna di miele militarizzata” che il governo tra (poche) luci e (molte) ombre ha creato. Nel complesso, la manovra è caratterizzata da una grande promessa di cambiamento; nella realtà, a parte qualche nota molto positiva come l’accelerata sul nucleare, si tratta di un provvedimento deludente perchè sul capitolo deciso dello sviluppo c’è poco o niente. Ma vediamo meglio nel dettaglio.

Punto primo: metodologia e obiettivi. L’idea di Tremonti di anticipare la manovra all’inizio dell’estate, in controtendenza rispetto alla tradizione parlamentare che vuole il Dpef entro giugno e il varo della Finanziaria entro settembre per essere approvata entro fine anno, è certamente un fattore positivo che consente di superare la finzione del documento di programmazione economica e nello stesso di dare respiro ai provvedimenti dandogli base triennale. Sacrosanto anche il target di riportare deficit e debito sotto controllo, in linea con gli impegni assunti in sede comunitaria. Se però entriamo nel merito di questa maxi-manovra, il giudizio si fa necessariamente più articolato.

Per esempio, sulla “Robin Hood Tax” ho già espresso più volte il mio pensiero: è una misura inutile e sbagliata. Inutile perché il mercato del petrolio e dei suoi derivati è fortissimamente legato alle aspettative, e quindi eventuali segnali di un inasprimento fiscale si traducono automaticamente in prezzi ancora più alti alla pompa. A rimetterci sarebbero quindi ancora una volta i consumatori, esattamente come nel caso della stretta fiscale sulle banche (le quali hanno già pronte le contromosse sui correntisti). Ed è sbagliata perché, come dimostrano i dati dell’Opec, a guadagnare dal boom dell’oro nero sono stati soprattutto gli erari dei paesi consumatori. Dunque, è chiaro il punto su cui bisogna semmai intervenire: le accise. Bene, quindi, anche se in contraddizione con la vessazione fiscale dei petrolieri, l’altra misura inserita in manovra, che aggancia automaticamente ad ogni aumento del greggio uno stop alla tassazione sui carburanti.

Altra ombra pesante: non si capisce sinceramente perché la questione della class action sia stata messa nel cassetto. Ma qui sospendiamo il giudizio: se si tratta di un breve rinvio – se ne riparlerà a gennaio – per meglio mettere a punto un meccanismo che avrà un forte impatto sul nostro diritto civile e societario, d’accordo. Se invece si tratta di un insabbiamento “sine die” di un meccanismo che, come ha detto Draghi nella recente relazione della Banca d’Italia, innalza la protezione dei consumatori e dei risparmiatori e migliora l’efficienza dei mercati, allora non ci siamo proprio. Così come non ci siamo sulla presunta semplificazione degli enti locali: quello che ci voleva era un taglio netto di tutte le province, non una “potatura” solo di quelle grandi (Milano, Roma, Torino, Genova, Bari, Napoli, Firenze, Venezia e Bologna) per trasformarle poi in “aree metropolitane” (che si aggiungeranno ai comuni, invece di sostituirli allargandone le funzioni).

Infine, voto 4 in pagella per la decisione di resuscitare la cassa del mezzogiorno, per di più nella versione light di Banca del Sud (come si chiamerà ufficialmente). Intervento inutile (con la dote statale da 5 milioni di euro assicurata all’istituto che sa di elargizione borbonica) e dannoso, che riporta alla memoria i sogni prodiani di una “Mediobanca del Sud”, abortiti ancor prima del nascere, alla fine degli anni Ottanta.

Ma passiamo alle “luci”. Bene, senz’altro, l’accelerata sul nucleare, che permetterà – incrociamo le dita – all’Italia di colmare il suo gap ventennale in cui siamo piombati col referendum del 1987. La road map di Scajola, che verrà attuata con lo strumento della legge delega, è molto ben congegnata: utilizzo delle centrali di terza generazione, individuazione immediata dei nuovi siti (di produzione e stoccaggio), previsione di incentivi per le comunità interessate (per sconfiggere la sindrome Nimby). E bene anche l’abolizione del divieto di cumulo tra lavoro e pensione. Un provvedimento che dovrebbe avere un effetto positivo soprattutto sul lavoro nero, spingendo molte aziende e molti lavoratori ad “emergere”.

Altri grandi fattori positivi non ne vedo. Soprattutto – ultimo punto – non vedo alcun elemento reale di rilancio dello sviluppo economico. Non c’è, nel testo “monstre” dei provvedimenti varato ieri, alcuna misura cruciale che permetta di rilanciare competitività e produttività, che permetta di affrontare seriamente il problema delle retribuzioni e del potere di acquisto, che consenta al Paese di affilare le armi in uno scenario deprimente come non mai, con una congiuntura internazionale che non aiuta e con stime di crescita italiana che ancora una volta (Eurostat) certificano il nostro status di “malato d’Europa”, con una crescita dello 0,2% nei primi tre mesi dell’anno. Insomma, nonostante qualche fattore positivo (soprattutto metodologico e di finanza pubblica), il giudizio sulla manovra è negativo. La sensazione è quella di un insieme di molti provvedimenti a pioggia (alcuni buoni, altri meno), forse di impatto mediatico, che non mettono le mani nelle tasche dei contribuenti ma che non prevedono al contempo nessuna strategia precisa di rilancio. Una manovra gattopardesca, insomma. Peccato, perché poteva essere l’occasione giusta.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.