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I problemi nascosti dietro le analisi sociologiche

Una Lega è per sempre?

L'equilibrio tra interessi locali e interessi nazionali nei tempi del declino

di Elio Di Caprio - 21 aprile 2008

La “rivoluzione” italiana del terzo mandato da presidente del Consiglio di Silvio Berlusconi sta per compiersi anche attraverso le sembianze di Roberto Calderoli indicato come futuro Vice Premier. Si tratta dello stesso ex ministro dalla maglietta anti islamica costretto a dimettersi due legislature fa dopo aver provocato con la sua esibizione disordini e vittime nella capitale libica. In un Paese che fa sempre più fatica a diventare “normale” le scelte dei Ministri che sono giusto appannaggio della maggioranza vincitrice delle elezioni, sono compilate non in posti pubblici ma nel chiuso delle ville regali di Arcore e della Sardegna o a Palazzo Grazioli a Roma.

All"alluvione di analisi sociologiche di politici e giornalisti sul nuovo (?) successo della Lega Nord manca l"interrogativo fondamentale se la Lega debba considerarsi un partito regionale o nazionale o meglio se un partito che ha le radici nelle regioni più avanzate del Paese ha il diritto di dare l"impronta maggiore se non decisiva alla politica nazionale. L"ambiguità della rappresentanza nazional-regionale della Lega che non ha paragoni nel resto dei Paesi europei a noi vicini ha giocato finora a suo favore. Ha permesso alla formazione di Bossi di radicarsi sempre più nelle terre di origine (ed ora travalica i vecchi confini) e di presentare una insospettabile patente di modernità se per questa si intende un approccio concreto ai problemi delle comunità locali, a partire dalla sicurezza, senza correre dietro ai bizantinismi del centro dove vive e prospera la “casta”.

La Lega ha senza dubbio interpretato un modello eccentrico di convivenza comunitaria che si discosta dalle vecchie logiche di aggregazione della destra e della sinistra valide per il resto del Paese. Tanto che l"alternativa secca che le ultime elezioni hanno cercato di imporci, o noi o loro, o Berlusconi o Veltroni, è diventato per la Lega la scelta tra le esigenze territoriali del nord e quelle del resto d"Italia. Mentre Silvio Berlusconi creava la nuova fantasmagorica creatura del PDL, ora richiamando Fini all"ovile, ora litigando con Casini e infine accordandosi con l"un per cento del movimento autonomista siciliano, la Lega non si è fatta travolgere dalle tattiche di Palazzo ed ha puntato seriamente e con successo all"unico risultato che le interessava: aumentare il proprio peso specifico nella coalizione data per vincente.

Ora presenta il conto. Come partito territoriale la Lega si è pure concessa una sua felice anomalia non consentita o non riuscita agli altri partiti. E" riuscita a dare spazio e a promuovere una classe dirigente compatta più giovane e motivata, vicina ai problemi della comunità. Anche per questo i diktat delle segreterie di partito sulle candidature elettorali che altrove hanno creato attriti e scalpore- si pensi solo a quello che è successo alla Sinistra Arcobaleno- sono stati digeriti dall" elettorato leghista con la rassicurazione che non si trattasse comunque di candidature di potere, magari catapultate dall"alto, ma di scelta responsabile di chi meglio fosse in grado di interpretare gli interessi locali. Il federalismo fiscale, oltre la sicurezza, è l"argomento più popolare e convincente tra i leghisti. E" il mantello largo che dovrebbe permettere alle regioni più ricche e dinamiche del Paese di trattenere nel proprio territorio la maggior parte dei proventi erariali.

La paura e la speranza di cui parla Tremonti a proposito dell"intera comunità nazionale alle prese con la globalizzazione sono diventate (un anticipo?) la paura e la speranza delle regioni del nord Italia - e ora in parte anche del centro Italia - che pensano di difendersi meglio se in qualche modo possono prendere il largo da sole senza la zavorra del resto d"Italia (compresa l"immondizia di Napoli) e provvedendo in proprio alle infrastrutture e alla sicurezza. Nei tempi difficili preconizzati da Tremonti si salvi chi può e se non è possibile la secessione che almeno arrivino più soldi nelle casse federali. Ma può il federalismo fiscale in sé, ammesso che vi si arrivi a colpi di maggioranza senza provocare morti e feriti, essere la vera e sola soluzione se non si procede ad una riforma costituzionale complessiva che dia il giusto peso alle spinte autonomiste, senza però compromettere il bene prezioso dell"unità nazionale? In che modo e in che limiti è giusto che gli interessi locali del nord, ma anche del sud e del centro, trovino adeguato spazio nella cornice nazionale senza collidere tra loro? E" ancora qui il problema dei problemi che il successo della mini coalizione di Silvio Berlusconi- PDL più Lega, più MPA- lascia nell"ombra. Chi lo risolve nel clima perdurante di anti politica e di sfiducia complessiva dei cittadini verso la “casta” di cui la stessa Lega fa ora parte a pieno titolo?

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