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Sotto il segno dell’inciviltà

Una giustizia “stuprata”

Non c’è nessuna sicurezza, né tutela, quando il sistema giudiziario è allo sbando

di Davide Giacalone - 27 febbraio 2009

Ci sono gli stupratori, e c’è la giustizia stuprata. La folla vuol linciare i primi, non accorgendosi che è la seconda a reclamare una sana e forte protesta popolare. Capita che un presunto pedofilo stupratore, che rimane presunto giacché la giustizia non lo ha mai processato, viva nella stessa casa con la bambina di cui avrebbe abusato, quella stessa creatura che troppo spesso ricevevano al pronto soccorso, dolorante e malconcia dove aveva subito l’oltraggio. E capita che, questo stesso individuo, sia oggi riconosciuto da un bambino di dodici anni, a sua volta stuprato e seviziato con un manico di scopa, quale autore della violenza. Non fatevi prendere dal voltastomaco, leggetela per bene questa storia, anche per capire quel che ho sostenuto martedì e domenica scorsi: il decreto che impone la carcerazione preventiva degli stupratori è inutile.

Il questore ed il capo della mobile di Napoli auspicano che l’arrestato, loro vecchia conoscenza, resti in carcere “il più a lungo possibile”. Sbagliano, deve starci il giusto, cioè tantissimo, se riconosciuto colpevole. E questo è il compito della giustizia, dei tribunali. E’ qui che l’inciviltà prevale.

Il personaggio in questione era stato denunciato, per quel che avrebbe fatto alla nipote della convivente, nel 2005. La procura di Napoli ci ha messo tre anni, tre lunghissimi anni, per chiederne il rinvio a giudizio. Leggo la “spiegazione” della procura: durante un confronto la bambina si contraddisse.

Raccapricciante: la colpa è della bambina, lasciata a convivere con colui che accusava, che la sera lo avrebbe ritrovato a casa! E se anche la contraddizione fosse stata decisiva, ci vogliono tre anni per venirne a capo? E dato che si è poi chiesto il rinvio a giudizio per atti di libidine, non si poteva farlo in poche ore? Che razza d’indagini sono state fatte? Domande ovvie, com’è ovvio che nessuno le porrà e nessuno risponderà. Sta di fatto che, quattro anni dopo, ci troviamo un altro bambino massacrato ed accusatore. Speriamo non si contraddica, altrimenti la magistratura ci metterà altri tre anni per decidere cosa fare.

In un Paese civile queste storie sarebbero finite davanti ad un giudice, nel giro di una settimana. Da noi, invece, il giudice non si è ancora visto. In queste condizioni, serve a poco arrestare, obbligatoriamente, presunti stupratori cui non si è capaci di fare il processo. Perché quando gli inquirenti si sbaglieranno imporremo la galera a degli innocenti, e quando indovineranno terremo le bestie in gabbia per qualche mese, salvo poi liberarle in attesa di un verdetto che, se arriva, si aspetta per anni.

Ho ancora nella mente la storia di quel padre accusato di avere violentato la figlia. Arrestato. La bambina fu tolta alla famiglia, perché la madre difendeva il presunto mostro. A decidere il tutto era un giudice che lavorava sulle carte compilate da assistenti sociali, bisognosi d’assistenza mentale. Non solo quel padre era innocente, ma la bambina non era mai stata violentata, era malata. Acclarata la cosa, s’è persa la bambina, oramai lanciata nel buco nero degli affidi anonimi e delle adozioni blindate. Condannereste quel padre, se avesse bombardato la giustizia?

Non c’è nessuna sicurezza, nessuna tutela, quando la giustizia è allo sbando. Inasprire le misure cautelari non è un segno di severità, ma di disperazione. Sono le pene a dover essere certe. Ma per quelle ci vogliono le sentenze. Noi, però, parliamo di carriere, del potere di questo o di quello, delle correnti politicizzate ed ipercorporative che infettano il Consiglio Superiore della Magistratura. Diciamolo, a quelli che prendono a calci le auto dove si trovano gli arrestati, che se l’evidenza gli entra nella zucca indirizzeranno verso altre macchine, assai più inutili, la loro rabbia.

Pubblicato su Libero di venerdì 27 febbraio

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