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Dopo quell’inopportuna uscita di Di Pietro

Una decisione sul Caso Autostrade

Le tre indicazioni di peso del presidente Gros-Pietro di stimolo al governo pavido

di Enrico Cisnetto - 09 giugno 2006

Prima che si combinino troppi guai, è ora di prendere una decisione sul “caso Autostrade”. Ieri Antonio Di Pietro, scordandosi che si tratta di una società quotata e che si può incorrere nella “turbativa di mercato” – capitava anche a Pietro Lunardi, ci deve essere qualche virus al ministero delle Infrastrutture – ha questionato intorno alla scelta di Autostrade di convocare l’assemblea dei soci il prossimo 30 giugno per decidere in merito alla fusione con Abertis. Si tratta di un doppio errore: da un lato non è possibile interferire su questioni che in una spa privata attengono solo agli azionisti, dall’altro un ministro dovrebbe evitare di usare i comunicati stampa per “dialogare” con i suoi interlocutori. Ma ciò che è più grave, è che questa “uscita” del ministro segnala un approccio sbagliato ad una questione, quella della fusione Autostrade-Abertis, che per essere affrontata di tutto ha bisogno meno che dell’indecisione, della dilazione e della deresponsabilizzazione. Cioè proprio dei tratti distintivi che fin qui hanno caratterizzato il governo Prodi sulla vicenda.
Dico subito che ci sono molte ragioni per criticare l’operazione. Sbagliata la modalità e affrettati i tempi – non si può fare una cosa di questa portata in assenza di governo: Berlusconi era già uscito da palazzo Chigi e Prodi non c’era ancora entrato – troppo sbilanciati a favore degli spagnoli gli equilibri e la governance. Senza contare che può essere considerata quantomeno controversa la questione della trasferibilità della concessione, anche se qui le responsabilità andrebbero ascritte a chi a suo tempo fece la privatizzazione senza curarsi troppo delle regole. Ma nulla giustifica un atteggiamento di ostilità strisciante come quello cui stiamo assistendo, sopra e più ancora sotto il pelo dell’acqua. Perchè se è vero quanto si dice – Autostrade ha un valore strategico per il Paese – allora bisogna essere conseguenti, ed evitare inutili e controproducenti “guerre di religione”. Specie se poi si pretende di combatterle lasciando ad altri la responsabilità delle decisioni: dall’Anas, che a sua volta scarica su presunti “saggi” la patata bollente relativa alla concessione, a Di Pietro, che per muoversi pretende il parere del Consiglio di Stato. Insomma, se il governo – non un singolo ministro – decide che la fusione italo-spagnola danneggia il Paese e che occorre fermarla, si prenda la responsabilità di dirlo chiaro e tondo, senza cercare alibi e coperture. Se invece, come pare più probabile, non ci sono né la forza né il coraggio di assumere una posizione netta di rottura, allora si eviti la guerriglia e si cerchi di mettere la vicenda su un binario costruttivo. Come? Intanto negoziando con Autostrade e i suoi azionisti in modo tanto schietto quanto riservato – evitando cioè di parlarsi a colpi di dichiarazioni e interviste – le “contropartite” di interesse generale. Il presidente di Autostrade, Gian Maria Gros-Pietro, mi pare che abbia indicato tre interessanti terreni di discussione. Primo: garanzie sugli investimenti in Italia su cui ci sia già stata un’autorizzazione (e qui Prodi deve mettere al riparo queste infrastrutture dal “partito del no” che alberga nella sua maggioranza). Secondo: certezza che le decisioni relative all’Italia saranno prese a Roma e non in Spagna. Terzo: negoziazione sugli investimenti aggiuntivi che possono derivare dalle risorse finanziarie che emergeranno dalla fusione. Il governo, ai suoi massimi livelli, convochi gli interessati e apra una trattativa, dura ma costruttiva. Inoltre, c’è bisogno di un’iniziativa politico-diplomatica che interessi il governo Zapatero alla questione. Ieri il ministro Pierluigi Bersani ha incontrato il ministro dell’Energia francese, Francois Losse, per esaminare quali soluzioni di “reciproco vantaggio” possono essere individuate sul dossier Enel-Suez-Gdf. Ecco, un’iniziativa analoga si può e si deve assumere per trovare spazi di reciprocità sulla questione Autostrade-Abertis, che riguardino altri soggetti italiani interessati ad affari in terra iberica.
Troppo poco? Può darsi. Ma non c’è alternativa: o il coraggio delle decisioni drastiche, o la ragionevolezza della trattativa. Sono le due uniche posizioni serie che un governo può assumere in un frangente come questo. Finora, invece, si è praticata la classica via di mezzo italica, che fa incavolare gli spagnoli, che disamora i Benetton, che rischia di deprimere il titolo Autostrade in Borsa a danno degli azionisti (piccoli in primo luogo). Fermatevi, finché siete in tempo.

Pubblicato sul Foglio del 9 giugno 2006

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