ultimora
Public Policy

La svolta presidenzialista di Berlusconi

Una Costituzione da buttare?

Neanche l‘”utilizzatore” finale la vuole più

di Elio Di Caprio - 13 ottobre 2009

Se a proporre una riforma della Costituzione in senso presidenzialista fosse stato il più che “borghese” Giorgio Napoletano e non il populista Silvio Berlusconi il progetto forse avrebbe più credibilità e consensi se non altro perchè, stando ai sondaggi, l’attuale Capo dello Stato piace a destra e a sinistra e può contare su una popolarità ben superiore a quella del Cavaliere.

D’altronde sappiamo bene che quando si è o si pensa di essersi cacciati in un vicolo cieco c’è sempre la Grande Riforma alle porte da invocare. Accade fin dai tempi di Bettino Craxi. Ma è un sogno ad occhi aperti che sia il nostro Presidente della Repubblica, a proporre come un Cossiga picconatore degli anni 2000, un cambiamento così radicale dopo che in più occasioni ha dovuto giocare in difesa – lo si è visto anche nei giorni scorsi per il lodo Alfano - e si è fatto garante che il dettato (formale o materiale?) della Costituzione non fosse violato e stravolto.

Poi bisogna fare i conti con i fallimenti passati che hanno ridotto ad un gioco di società i tentativi di rendere il nostro sistema istituzionale meno costoso e soprattutto più efficiente tra riforme fatte a strappi e altre nemmeno approvate. Una volta sul tappeto la riforma di sistema ritornerebbero comunque fatalmente le contrapposizioni di comodo e inconcludenti, tra chi vorrebbe un premierato forte alla tedesca o all’inglese o un semipresidenzialismo alla francese e non se ne farebbe più niente, come l’esperienza insegna. Senza contare che nell’ipotesi presidenzialista prevarrebbe il timore di rafforzare ancor più il potere del Cavaliere come se fosse una figura eterna.

Ci si potrebbe anche domandare che credibilità avrebbero i nuovi “padri costituenti” se espressione delle milizie contrapposte di destra e sinistra, divise al loro interno, tra una Lega a cui interessa solo il federalismo fiscale ed una sinistra, non solo quella estrema, che ha sempre scambiato qualsiasi mutamento costituzionale come un attentato ad un testo inviolabile.

Se ci pensiamo bene è un’Italia vecchia, non solo per ragioni di età – Berlusconi e/ o Napoletano- quella che dovrebbe o potrebbe imprimere nei prossimi anni un cambiamento così radicale come è il passaggio da una repubblica parlamentare ad una presidenziale. Da una parte c’è chi come il Cavaliere, uomo del fare, non ha mai dato credito alle grandi riforme, lasciandone l’inutile discussione ai politicanti di mestiere, come lui li considera, ai Fini, ai D’Alema o ai Veltroni ed ora usa l’argomento più per tattica che per strategia. Dall’altra c’è chi come Giorgio Napolitano, ex comunista, ha assunto le sembianze del grande borghese moderato, attento a smussare e a contenere i tanti strappi populisti del centro-destra, facendosi garante delle regole e quindi del dettato costituzionale, attento però a difendere più quello che c’è che ad avventurarsi su terreni sconosciuti in nome di un riformismo rischioso e troppo nebuloso.

Meno male che Napoletano c’è hanno pensato in molti, non solo a sinistra, di fronte alla volgarità più che all’incandescenza della lotta politica in corso tra berlusconiani ed antiberlusconiani, almeno per l’immagine dell’Italia che così non appare completamente appiattita su quella del Premier tutto fare ed alla sua bulimia di rappresentare tutti e di parlare in nome di tutti, ora persino facendosi paladino di riforme che non lo hanno mai veramente interessato.

Ma il problema dell’inefficienza di sistema resta, al di là di Napolitano e al di là di Berlusconi , oltre la loro fittizia contrapposizione tra chi vuole conservare e chi vuole innovare. A fil di logica un vero sistema presidenziale o semipresidenziale, se coerente, potrebbe e dovrebbe esaltare proprio la funzione di controllo del Parlamento e il Presidente prima di essere eletto dal popolo dovrebbe sottoporsi ad elezioni primarie vere, non a quelle artefatte da partito democratico e tanto meno al surrogato dei gazebo sulle piazze italiane che hanno approvato la svolta preconfezionata del “predellino” come è accaduto per il PDL.

Un premierato o un presidenzialismo serio sarebbero tutto il contrario della nostra esperienza attuale che è la risultante di cambiamenti fatti a strappi per dar vita a una costituzione materiale piena di contraddizioni che si discosta fatalmente da quella formale a cui non è stato evidentemente sufficiente fare la guardia.

Basterebbe paragonare la Francia di Sarkozy all’Italia di Berlusconi per rendersi conto della differenza.. E’ veramente preferibile questa democrazia, con questa legge elettorale, dove il bipartitismo è stato imposto dall’alto, il Parlamento conta e controlla poco o niente e la deriva plebiscitaria è dietro l’angolo?

E’ veramente preferibile questo Stato che, con una riforma costituzionale, si chiama già federale e non lo è? Difficile pensare che Silvio Berlusconi, l’”utilizzatore finale” di questa confusa Costituzione materiale voglia ora improvvisamente disfarsene. La “grande riforma” si arenerà probabilmente anche questa volta perché nasce male, non è il colpo d’ala di uno statista che vede lontano ed attira con l’esempio le schiere dei seguaci, è semplicemente uno spot, uno dei tanti.

Se si volesse realmente creare nell’opinione pubblica l’humus adatto per predisporla a riforme globali che per ora interessano più i politici che la gente comune, ne basterebbero solo due : la riduzione del numero dei parlamentari con funzioni diverse per Camera e Senato e l’abolizione delle Province. Ma è chiedere troppo. Proprio ieri è naufragata l’ipotesi trasversale dei programmi elettorali di tutti i partiti di abolire le province. Quale il motivo? PDL, PD e Lega hanno semplicemente cambiato parere….

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.