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Stati generali per ricostruire il Paese

Una Costituente come dopo la guerra

Le cose da fare per dire addio alla Seconda Repubblica

di Enrico Cisnetto - 22 luglio 2011

La convention del Terzo Polo si apre proprio nei giorni che in futuro i libri di storia indicheranno come quelli in cui è stata messa la parola fine alla fallimentare esperienza della Seconda Repubblica. Esattamente come il 17 febbraio 1992 l’arresto di Mario Chiesa aprì Mani Pulite e chiuse la Prima Repubblica, così mercoledì 20 luglio il voto favorevole di Montecitorio all’arresto di Carmelo Papa ha definitivamente fatto calare il sipario non solo su Berlusconi e il suo governo, ma su quel bipolarismo all’italiana che dal 1994 in poi ha configurato il sistema politico (e pure la mentalità collettiva del Paese, che da quel momento ha preso a dividersi per qualunque cosa tra berlusconiani e anti-berlusconiani, come ai tempi dei guelfi e dei ghibellini).

Certo, impressionano le molte similitudini tra le due epoche, a cominciare da quella evidente del ruolo della magistratura e dei giornali, ma anche da quella sottaciuta e tuttavia a mio giudizio più importante dell’altissimo tasso di “non governo” prodotto dal sistema e dell’incapacità del ceto politico di capirne cause e conseguenze, cosa che allora come oggi ha rappresentato la premessa del “the end”. Si dirà: i segnali di cedimento erano già visibili ben prima che una parte della Lega decidesse di assestare quel colpo mortale che è stato il sì alle manette per Papa. Vero, così come nel 1992 veniva da lontano la crisi di credibilità del ceto politico che investì il Psi di Craxi e la Dc di Andreotti e Forlani.

E come allora, un po’ di tempo ci vorrà prima che si formino le condizioni per un cambio di regime. Ma proprio perché ci siamo già passati – ed è in virtù di questo antefatto storico che la responsabilità della classe politica attuale è molto maggiore di quella attribuibile ai leader della Prima Repubblica – che bisogna assolutamente non commettere gli stessi errori. Due, in particolare: evitare che la transizione, ma sarebbe meglio dire agonia, duri troppo a lungo (allora ci vollero due anni); evitare che “il dopo” sia costruito sulle sabbie mobili di un’analisi ipocrita e di comodo di ciò che è successo e in mancanza di un progetto definito di come ha da essere la Terza Repubblica.

E qui veniamo all’importanza della convention del Terzo Polo che si apre oggi a Roma, a cui mi dolgo di non poter essere presente per la coincidente apertura della mia “Cortina InConTra”. Perché è evidente che gli unici legittimati ad analizzare la sancita fine della stagione del bipolarismo e a gestire l’apertura di una fase di passaggio verso un nuovo sistema politico – con il necessario radicale cambio non solo delle leadership ma dell’intero ceto politico – non possono che essere coloro che dal meccanismo bipolare si sono chiamati fuori o ancor meglio non vi sono mai stati dentro.

Dunque, coraggio: passiamo dalla dichiarazione dello stato di crisi – che tanto ormai si è palesato anche agli occhi dei più recalcitranti – alla definizione di ciò che occorre fare. Anche perché la durata dell’agonia sarà più o meno lunga a seconda del tempo che ci si metterà a far emergere una chiara alternativa allo status quo. Allora, io dal Terzo Polo mi attendo un’indicazione netta di come si può e si deve gestire questa situazione e l’apertura – finalmente, perché avrebbe dovuto essere fatta prima – di una discussione serrata ed approfondita di come potrà e dovrà essere la Terza Repubblica quando la transizione si sarà conclusa.

Cosa vi direi, nel merito, se fossi con voi alla Convention? Sul primo punto, la necessità è quella di arrivare al più presto ad un governo guidato da altri che non sia Berlusconi, il cui mandato sia gestire l’emergenza economica – temo che a settembre occorra una nuova manovra correttiva dei conti pubblici – e varare una nuova legge elettorale, per andare a votare nella prossima primavera. Cosa può fare il Terzo Polo oltre che proporlo? Assumere la leadership del fronte delle opposizioni, convocando in modo formale gli interlocutori che dentro l’attuale maggioranza si ritiene siano disponibili ad un dialogo per superare lo stallo. Oggi mi sembra evidente che l’interlocutore numero uno sia Maroni, ma anche nel Pdl non mancano le potenziali disponibilità. Quanto alla definizione del progetto di Terza Repubblica, mi pare evidente che in questa fase la cosa più importante sia l’individuazione degli strumenti. E qui mi spiace ripetermi, ma non riesco a trovare nulla di più adatto e nello stesso tempo di più aggregante che l’Assemblea Costituente.

Grave fu non convocarla nel 1994 – e abbiamo visto come la sua mancanza abbia lasciato marcire tutte le questioni istituzionali che erano aperte già durante la Prima Repubblica, che anzi cadde proprio per non averle sapute affrontare – gravissimo sarebbe non farlo ora. Si dice: ma una Costituente si convoca dopo una guerra, dopo un evento di grande trauma. Giusto.

E perché, il fallimento di due stagioni politiche a oltre vent’anni di distanza dall’evento più traumatico successivo alla Seconda Guerra Mondiale – la caduta del Muro di Berlino, la fine del comunismo e il venir meno degli equilibri planetari stabiliti a Yalta – non è forse abbastanza traumatico per la vita di un paese giovane e fragile come l’Italia? Inoltre, senza un’idea forte non solo non si riuscirà a coinvolgere gli italiani, ma si lascerà campo libero a tutti coloro – e sono già in tanti ad essere all’opera – che li mobilitano intorno a parole d’ordine populiste, tipiche dell’antipolitica e del più bieco giustizialismo.

Ecco, dunque, cosa mi aspetta dal Terzo Polo: che esca allo scoperto e che chieda agli italiani di indicare nell’Assemblea Costituente lo strumento per voltare pagina e costruire il futuro al riparo dal declino maledetto cui la Seconda Repubblica ci ha costretto fin qui. Buon lavoro.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.