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La Sicilia, metafora di una deflagrazione

Una classe politica specchio del Paese

Facciamo valere le idee e guardiamo al futuro con impegno. La speranza induce alla rassegnazione

di Davide Giacalone - 20 settembre 2010

La Sicilia è un laboratorio politico elastico e fantasioso, a dispetto di un’apparenza immobile e impenetrabile. Quel che succede nella politica siciliana di oggi non è l’anticipazione di quel che accadrà nel resto d’Italia, ma la deflagrazione di quel che non regge neanche altrove. La Sicilia non è un esempio, ma una metafora. Lo disse, con parole calme e pensieri taglienti, Leonardo Sciascia: il guaio della Sicilia è quello di non credere nelle idee, di non credere che il futuro possa essere diverso dal passato, e siccome questa anemia ideale colpisce anche altrove, la Sicilia è divenuta metafora del resto.

La decisione di Gianfranco Miccichè di fondare un partito alternativo al Popolo delle Libertà non è né la causa né l’effetto di una crisi politica, o di uno scontro senza sbocchi, è il dinamismo permanente indotto dall’immobilismo perdurante. Non è un fatto nuovo, è un già accaduto che prende forma. Il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, giunto al suo quarto governo e in procinto d’imbarcare il Partito Democratico non può, in nessun caso, essere accusato d’incoerenza o di saltabeccare da uno schieramento all’altro, perché, al contrario, egli si muove nella più assoluta continuità (e la sinistra era già parte della giunta entrata in crisi). Gli stessi uomini della sinistra, che oggi siedono al fianco di quelli che hanno combattuto, che avversarono per quel che erano personalmente e politicamente, non sono dei “venduti”, non sono traditori degli elettori, ma semplici sopravvissuti. Non contano nulla, ma hanno ancora lo spazio per contare.

Se si ha passione e tempo si possono seguire gli spostamenti di ciascuno su questa cartina del potere senza politica, ma non credo che la cosa appassioni molti, neanche in Sicilia. Per far girar la testa basterà ricordare due fatti: a. Miccichè sarebbe dovuto essere il candidato del centro destra alla presidenza, ma gli accordi fatti in sede nazionale gli preferirono Lombardo, vinte le elezioni Miccichè appoggiò il governo Lombardo, mentre alcuni di quelli che lo avevano voluto presidente lo avversarono, ora che la frattura si ricompone, ora che ex comunisti ed ex fascisti entrano in giunta, lui se ne va; b. la sinistra avversava Lombardo nel mentre questi polemizzava con Silvio Berlusconi, mentre ora che hanno rifatto l’accordo e i parlamentari lombardiani voteranno il governo la sinistra lo appoggerà. Volete provare ad orizzontarvi? Auguri.

L’onorevole Miccichè s’è accorto che l’onorevole Ignazio La Russa è un fascistone con il quale non si può avere a che fare. Si da il caso che facciano parte non solo dello stesso partito, ma anche dello stesso governo. Quando è maturata tale convinzione? Ha anche detto, fondando un nuovo partito, che resta e resterà sempre un berlusconiano di ferro. Ci credo, e forse questa è una buona chiave di lettura: il gioco del potere non ha nulla a che vedere con la sostanza politica, che, forse, neanche c’è.

Leggendo le interviste e le dichiarazioni non si riesce mai a cogliere il punto programmatico, l’appiglio contenutistico attorno al quale le alleanze si formano e si sfasciano, si capisce solo che gli alleati di ieri sono dipinti come pazzi e malfattori, mentre si punta all’alleanza con quelli che ieri erano definiti pazzi e malfattori. In questo la Sicilia è metafora del resto, perché non si dovrà, né si potrebbe, ripercorrere le stesse tappe, ma si camminerà in quello stesso solco, fatto d’inimicizie e odio, quanto di unioni e fusioni, ma sempre senza fisso scopo, senza altra forma che quella data dallo spazio che si può occupare. Sergio Rizzo si domandava se i siciliani non hanno di meglio da esprimere. Bella domanda. Io sono siciliano, come sono italiano.

Ma perché, noi italiani non abbiamo di meglio da esprimere? La risposta è terribile: forse no. Se non si crede nelle idee e se la stessa rappresentanza degli interessi è concentrata nel galleggiamento anziché nella crescita e nell’espansione, questa classe politica, nelle sue versioni vernacolari e nazionali, è specchio del Paese. Questi uomini politici sono espressione delle richieste di cui sono terminali, e siccome la loro qualità non è affatto inferiore a quella del mondo che li circonda, essi divengono personaggi borgesiani, come sarebbe piaciuto, ma solo in letteratura, a Sciascia. C’è, in Sicilia come in Italia, chi nelle idee ci crede, chi coltiva i sogni, chi guarda al futuro con impegno (la speranza serve a poco e induce alla rassegnazione). Al momento, senza gran successo.

www.davidegiacalone.it

Pubblicato da Libero

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