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Public Policy

Referendum: a favore dell’astensione

Un voto da non strumentalizzare

Temi come la bioetica non possono essere minimizzati da un sì o un no

di Alessandra Servidori - 18 maggio 2005

Si avvicina a grandi passi l’appuntamento del referendum sulla procreazione assistita e della materia, eticamente delicatissima, se ne parla vergognosamente a sproposito. E’ il caso del disgustoso attacco fatto a Stefania Prestigiacomo che ha voluto schierarsi per il sì al referendum. Io non condivido la sua posizione ma insinuazioni, volgarità e altre maldicenze maschiliste sono entrate nel tritacarne della politica che si è trascinata dietro una confusione totale sul merito di una legge che, contrariamente a quanto dichiarato dal ministro per le Pari Opportunità, a mio modesto parere non può essere modificata su parti fondamentali a suon di referendum.

Dunque io mi schiero con il Comitato Scienza e Vita e mi asterrò ad andare a votare e dunque desidero impedire, nel mio piccolo, il peggioramento della legge 40. La fede non può dare luogo a una automatica mobilitazione politica, ma d’altronde chi fa informazione, non può sottrarsi dal suggerire agli elettori di scegliere appunto secondo una opinione documentata e conforme ai principi valoriali che governano riflessione e discernimento. La legge è tutt’altro che perfetta ma una volta battute le tendenze più integraliste del fronte del no e del sì, che sono i fronti avversari, si potrà tornare in Parlamento, in Commissione e rivisitare ampiamente alcune parti, anche in relazione all’evoluzione della legislazione di altri paesi.

Il referendum è uno strumento abusato nel nostro Paese, e in questo caso soprattutto, della vita, della felicità delle coppie, del limite al ricorso alle tecniche scientifiche, non si può decidere a suon di sì o no: bisogna responsabilmente, nel parlamento sovrano, trovare, con il contributo di tutti, una via maestra tra scienza e coscienza. L’astensione non mi imbarazza affatto. Da tempo questa scelta è diventata la principale linea di condotta di coloro che sono contrari all’abrogazione della legge sottoposta a consultazione. Essi hanno tutta la convenienza di avvalersi della “rendita di posizione” della quota di elettorato passivo (usiamo l’aggettivo in senso atecnico), mentre tocca ai promotori e ai sostenitori del referendum - ecco perché è indispensabile la previsione di un quorum minimo per la validità del voto – dar prova di aver sollevato (e sottoposto a consultazione popolare) un argomento che interessa almeno la maggioranza del corpo elettorale.

Decisioni fondamentali per la vita dei cittadini non possono essere assunte da minoranze militanti, soprattutto quando vengono in discussione leggi approvate dal Parlamento che, per definizione, è rappresentativo della “volontà della nazione”. Non a caso sono molti anni che la vera disfida referendaria si svolge sul raggiungimento del quorum: coloro che si recano a votare, infatti, risultano essere in larghissima maggioranza favorevoli al quesito su cui sono chiamati a pronunciarsi, mentre quelli che sono contrari (o indifferenti) disertano le urne. In tale situazione, se la posta in gioco è varcare la soglia del quorum, recarsi a votare no – come dichiara di voler fare Romano Prodi – o è un gesto gratuito (e un po’ sciocco) di testimonianza oppure diventa un atto di “intelligenza col nemico”. Del resto, astenersi è un comportamento pienamente legittimo che non deve procurare crisi di coscienza laiche, se ad indicarlo sono le gerarchie ecclesiastiche. In passato, tutte le forze politiche si sono avvalse del soccorso degli astenuti.

Per i diessini il “non voto” è stata una manna piovuta dal cielo in occasione del referendum sull’estensione erga omnes della disciplina prevista dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Persino Sergio Cofferati – che da sindacalista aveva promosso manifestazioni komeiniste in difesa di quella norma e contro le blande modifiche proposte dal Governo – sentì il bisogno di rivolgere ai promotori un invito a riflettere (che neppure i “suoi” metalmeccanici vollero accogliere) finendo, poi, per rifugiarsi nell’astensionismo, visto che Bologna (con la poltrona di sindaco) valeva pur sempre “una messa”. Anni prima, l’arma del non voto era servita, a sinistra, per bocciare i quesiti radicali sulle libertà economiche. Occorre, dunque, essere rispettosi di tutte le scelte dell’elettorato e di tutte le strategie, purché legittime, che i diversi gruppi interessati indicheranno allo scopo di far prevalere la proprie tesi, giacché in materia di correttezza referendaria (le belle disfide di altri tempi tra sì e no) nessuno è autorizzato a scagliare la prima pietra.

Tutto ciò premesso, vengono poi le considerazioni politiche e di merito. Va riconosciuto, innanzi tutto, alla Consulta (le cui sentenze non sono sempre condivisibili) di essersi mossa, nel caso del referendum sulla procreazione assistita, in maniera ineccepibile e coerente con la giurisprudenza costituzionale consolidata. E’ stata corretta, ad esempio, la decisione di non ammettere il quesito totalmente abrogativo, perché avrebbe privato di qualunque regolamentazione una materia oggettivamente delicata e meritevole di regole definite. Di fronte ad una siffatta evenienza, la Corte si è sempre pronunciata contro i quesiti totalmente abrogativi. Nel caso in esame, invece, i quattro quesiti ammessi, se approvati dagli elettori, modificherebbero profondamente la legge, ma non abrogherebbero del tutto una disciplina organica della materia. La Corte Costituzionale, dunque, ha riconosciuto ai cittadini il diritto di pronunciarsi su aspetti di fondo della fecondazione assistita e della ricerca sulle cellule staminali, ma ha ribadito l’esigenza che una regolamentazione vi sia e non possa venir meno, ferme restando le prerogative del legislatore ad intervenire sulla materia ogni volta che lo riterrà opportuno. Vi sono, poi, significativi profili di etica politica da considerare. Chi scrive si è sentita offesa – nonostante la simpatia per i Radicali – dai toni esasperati della campagna condotta contro la legge. La lotta politica non è mai un gioco da educande; ma non è accettabile una pratica di deformazione premeditata e continuata della realtà al solo scopo di imporre le proprie tesi.

Contro la legge sulla procreazione assistita – uno dei pochi provvedimenti che il Parlamento italiano, eletto democraticamente, ha approvato con voto bipartisan - si sono riversate accuse tanto gravi (legge oscurantista, talebana, medioevale, lesiva del diritto alla procreazione e quant’altro) da squalificare la campagna politica di chi le ha lanciate. E’ vero che dall’altra parte si è arrivati a scomodare le oscene e disumane sperimentazioni dei ricercatori nazisti nei campi di sterminio: a prova del fatto che, prima o poi, la cattiva moneta scaccia la buona anche nella polemica politica. Ma da parte del fronte referendario si è fatto ricorso a vere e proprie forme di pubblicità ingannevole. Come se fosse a portata di mano la produzione di sciroppi, supposte e flebo con estratti di cellule staminali, capaci di far camminare gli storpi, far vedere i ciechi, far sentire i sordi (si rendono conto i Radicali di quanto sia stata controproducente la “strumentalizzazione” – reciproca e biunivoca - di Luca Coscioni?). Il Partito di Pannella e Bonino non è nuovo a queste forme di lotta politica, dove la passione sopravanza l’obiettività. Si può ricordare – anni or sono – il caso del decreto legge sulla c.d. pulizia delle liste elettorali, allo scopo di abbassare nei fatti il quorum referendario, agendo sul denominatore piuttosto che sul numeratore del rapporto. I Radicali – dopo che il quorum era stato mancato, per un soffio, nel 1999, nella consultazione sull’abolizione della quota proporzionale nella legge elettorale - condussero una campagna giacobina contro la presunta iscrizione di “anime morte” negli elenchi elettorali. Tale campagna trovò ascolto nella predisposizione e nei contenuti del decreto, ma che si rivelò ben presto uno strumento per privare del diritto di voto tanti italiani (persino Sofia Loren) solo perché, non avendolo esercitato per un certo arco temporale, vennero considerati defunti. L’operazione non solo non servì a rafforzare il quorum in quella occasione (era in ballo la batteria dei referendum del 2000), ma venne ben presto dimenticata ed archiviata nel novero delle vergogne nazionali. Non è bello mentire per affermare una idea. Lo hanno fatto per decenni i comunisti, i quali – sono parole di Giancarlo Pajetta – tra la verità e la rivoluzione sceglievano quest’ultima. Ma una forza democratica e liberale ha il dovere di parlare sempre il linguaggio della verità perché sa che la rivoluzione è una chimera che si nutre di uomini e di donne, divorandoli. Tornando alla questione del referendum sulla legge n. 40/2004, va riconosciuto che per fortuna si sono mossi il Cardinale Ruini e la Cei (i rigurgiti di anticlericalismo esasperato dei Radicali non sono stati utili né a loro né al sistema politico) dal momento che le forze della maggioranza si sono lasciate insultare per mesi senza replicare né reagire. E che oggi non riescono ad andare oltre una salomonica “liberà di coscienza e di voto”. Certo, la legge si può migliorare .Si profila sempre più, nella Unione europea, una prospettiva di “libera circolazione” dei cittadini anche per quanto riguarda la possibilità di usufruire dei servizi e delle prestazioni socio-assistenziali-sanitarie. Sarebbe assurdo che un cittadino italiano potesse ricevere dal sistema sanitario di un altro paese (magari con rivalsa a carico del nostro Ssn) interventi proibiti in Italia.

Per concludere, il calcolo politico non è certo escluso in occasione del referendum, tanto dalle valutazioni di chi si recherà alle urne o quanto da quelle di coloro che le diserteranno. Una battaglia referendaria ha per sua natura delle valenze e degli effetti trasversali. Nel caso della legge n.40, però, le divisioni sono più ampie nel campo di Agramante del centro sinistra. Le firme necessarie alla presentazione dei quesiti sono state raccolte ai tavoli delle Feste dell’Unità e mediante l’impegno organizzativo della Quercia e dei partiti vetereo e neo comunisti, i cui militanti sono sempre disposti a firmare tutto quanto può sembrare ostile al Governo (e anche agli alleati). Somigliano a quei cacciatori che sparano contro tutto (pure contro i colleghi) pur di adoperare il fucile. Va ricordato, altresì, che i quattro quesiti ammessi appartengono di più ad un mondo raccolto intorno alla sinistra che ai Radicali (i quali la loro battaglia, totalmente abrogazionista, l’hanno già perduta).

Così, se nel referendum vincessero i sì, sarebbe battuto il Governo, anche se cercasse di defilarsi. Se invece il referendum non passerà (e cadrà), sarà la sinistra ad incassare una sconfitta che, magari, finirà per attutire il probabile buon risultato che la coalizione di opposizione otterrà alle regionali (ecco perché non conviene spostare troppo avanti la data della consultazione referendaria).

Inoltre, di mezzo non ci andranno soltanto i già difficili rapporti tra Quercia e Margherita, ma anche le relazioni tra l’Unione nel suo complesso e le gerarchie ecclesiastiche, le quali hanno la memoria lunga. Quasi come quella attribuita agli elefanti. Certo, se il centro destra si desse da fare un po’ di più…….

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