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Deficit di sensibilità civile in politica

Un velo di terrore sulla libertà

Non solo costume, ma anche un segno di sottomissione e d’inferiorità delle donne

di Davide Giacalone - 10 gennaio 2007

Le minacce di morte ricevute da Daniela Santanchè la costringono a vivere scortata, ma rendono meno liberi tutti noi. Trovare chi la minaccia e dedicargli l’attenzione della repressione è un dovere che abbiamo verso di lei, verso noi stessi e verso i molti islamici che sono persone civili. Ed è un dovere che abbiamo verso tutte le donne. Manifestata la solidarietà al parlamentare, è di queste che è bene parlare.
Il velo islamico può essere un costume, come la gonna o gli orecchini, ma è anche un segno di sottomissione, d’inferiorità. Se una donna sceglie liberamente d’indossarlo nessuno dovrebbe impedirglielo, fermo restando che ha l’obbligo di scoprire il volto (se intende vivere dalle nostre parti) ogni volta che sia necessario procedere ad una identificazione, ivi compreso l’ingresso in un albergo. Ma è il concetto di “libertà” a prestarsi a degli equivoci. Sono libere le donne che lo indossano in quanto appartenenti ad una comunità etnica? o perché così vuole il marito? E’ difficile fissare confini rigidissimi, magari descrivendoli in delle leggi, ma quel che segnalo è un terribile deficit di sensibilità civile, perché spesso il comune sentire può più delle norme. E’ incredibile che in un Paese che ha conquistato ai suoi cittadini, donne e uomini, la libertà dei costumi e delle scelte non si veda la protesta, composta ma durissima, contro chi non esita ad ammazzare una ragazza, figlia e sorella, sol perché riteneva di potersi comportare in modo eguale alle sue coetanee. E’ successo, purtroppo, l’episodio ha riguardato una famiglia d’immigrati islamici, e la mancata protesta non significa rispetto per quella famiglia, ma totale assenza di rispetto per quella povera ragazza. Dove sono le donne impegnate della sinistra, quelle che parlarono e spesso straparlarono dei “maschi padroni”? Le ascoltavamo talora con ironia, ma ne riconoscevamo il ruolo positivo. Sono scomparse, dileguate, forse si sono velate, nascoste, si sono arruolate fra le spose del poligamo e demenziale relativismo etico.
Nel mentre manca all’appello il mondo delle donne impegnate nella vita politica, naturalmente senza distinzione di schieramento, e nel mentre l’onorevole Santanchè corre dei rischi, non possiamo non guardare con speranza alle donne islamiche, specie quelle che vivono nei nostri paesi. Nessuno chiede loro di rinunciare ad alcunché delle loro convinzioni e del loro credo, cui, se vorranno, rinunceranno per loro conto (ed anche questa è una libertà da tutelare), ma di certo chiediamo loro di vivere pienamente la nostra condizione e di immaginare il meglio per le loro figlie e per i loro figli. Leggano la storia di quella ragazza siciliana, rapita e stuprata da quello che pensava di divenirne il suo legittimo sposo e che, togliendole l’“onore”, riteneva d’assicurarsi la via verso il matrimonio riparatore. Quella ragazza gli disse di no, e chiarì a tutti che se c’era un disonorato, quello era lui. Fu coraggiosa, quella ragazza di quaranta anni fa, ma il suo gesto fu possibile ed ebbe un gran successo perché il mondo che la circondava era già pronto ad accoglierlo.
Ecco, l’Italia è pronta ad accogliere le donne libere di ogni fede, e lo farà con ancor maggiore felicità se provenienti da Paesi lontani. Siano esse a farsi avanti.

www.davidegiacalone.it

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