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Dopo la prima edizione di Dyrigo

Un successo della “generazione Y”

Novanta under 35 all’iniziativa promossa dai giovani di Società Aperta

di Luca Bolognini * - 29 novembre 2005

Si è appena conclusa Dyrigo, la scuola di formazione politica che Società Aperta Giovani ha organizzato nel weekend del 25-26-27 novembre a Villa Tuscolana, vicino a Roma. Non è stato un passo qualunque. A differenza delle (poche) scuole pseudo-politiche organizzate qua e là in Italia da realtà di partito o da chiusi think-tank, con coraggio abbiamo voluto che non si trattasse di formazione di giovani amministratori locali, né tantomeno di formazione su temi troppo specifici. Non volevamo tecniche di seduzione dell"elettorato o consigli pratici sull"emanazione d’ordinanze comunali, nei contenuti di Dyrigo. Volevamo Politica e basta leggere il programma per capirlo.
La tre-giorni è stata intensissima, con più di 20 ore nette di lavori concentrati, seguiti e discussi con la partecipazione ampia e coinvolta di autorità statali e grandi intellettuali del nostro Paese. Questa estrema sintesi (quasi cronaca) non rende però il significato completo della scuola di Società Aperta Giovani. Giorni fa, un settimanale definiva proprio la nostra squadra "generazione Y", giocando sulla lettera che spesso inseriamo - come nel caso di Dyrigo - nei marchi delle nostre iniziative. A ben guardare, la Y non richiama solo, immediatamente, l"inglese della parola giovani. Se rovesciata, rappresenta punti diversi che si uniscono verso una stessa strada. Rappresenta un bivio, di fronte al quale dover scegliere un percorso. Rappresenta anche un albero stilizzato. Rappresenta infine la più vitale e futuribile delle incognite. E allora sì, con tutte queste forme e interpretazioni metaforiche, sentiamo la definizione di "generazione Y" vicina, effettivamente nostra.

C’erano novanta under35 dietro i “banchi”, ad ascoltare ma anche a chiedere e a proporre visioni e dubbi sulla dimensione pubblica e sul ricambio di classe dirigente. Si trattava in gran parte di persone che fino ad oggi non hanno partecipato oppure non hanno nemmeno pensato direttamente alla politica, come fosse un qualcosa di “altrui” e “altrove”. Alcuni dei partecipanti erano invece dei delusi. Prematuramente scottati da un impegno in partiti e movimenti vuoti di idee, di possibilità, di potere nel senso più nobile (ma – se mancante – nel senso più triste) che si possa immaginare. Due provenienze, in generale, diverse e confluenti in un unico percorso (la Y rovesciata) di andata o di ritorno – non conta – verso la passione per la politica e verso la ri-accensione dello spirito riformatore che ognuno di noi porta, forte e a volte non chiaro, dentro di sé. Le nuove generazioni sono infatti riformatrici per natura, ne sono convinto. E’ inutile e dannoso, come sottolineato durante i lavori di Dyrigo, cercare di dare a un uomo o a una donna di venti-trent’anni una rappresentazione fisiologica della politica come impossibilità e rassegnazione: il 20-30enne non ci crede, e a nostro avviso fa bene a non crederci. E allora perché tanto appiattimento, perché la necessità di Dyrigo e di Società Aperta Giovani?

L’unica strada che il vecchiume può intraprendere (e intraprende regolarmente) per liberarsi delle nuove ondate riformatrici è annullarne la consapevolezza e l’esprimibilità, frustrando. Con anestesie televisive (a proposito, la Y può ricordare un’antenna, cioè nuovi mezzi per comunicare) o con chiusure desertificanti, come sono state molte esperienze di non-partiti e girotondismi negli ultimi anni. La nostra età, per evidenti motivi di visione e lungimiranza, al contatto con l’ossigeno brucia e vive e tende verso l’impegno comune: la desertificazione mette “sotto vuoto”, toglie l’ossigeno. Ci conserviamo – per carità – ma in dispensa, in disparte, dimenticati ed esclusi dai giochi. Ecco, la Y mi ricorda anche quell’arnese che si usa in cucina per aprire i barattoli sottovuoto.

Tornando alle metafore iniziali, quella di dovere-diritto di scegliere davanti a un bivio e quella di incognita futuribile, le due cose s’intrecciano. Usciti dal vuoto, collegati in rete, ottenuti gli strumenti anche culturali per potere (fare, dire, reagire, riformare – perciò Dyrigo) si svelano i pre-potenti motivi che trasformano la capacità in dovere; poi arrivano gli obiettivi futuri che trasformano il nostro attuale essere Y come “incognite” in classe dirigente di domani. Da bachi a farfalle.
Quanto ai motivi e alla necessità di scegliere, si vedono tutti nell’idea di bivio: il declino economico e strutturale, in sostanza politico, del nostro Paese (con l’erosione dei redditi, della competitività globale, con l’assenza di grandi riforme e un assetto costituzionale violentato) rischia – ma è un rischio per modo di dire, è oggettiva la progressiva decadenza – di trascinarci in un’Italia povera, senza futuro, emarginata e collassata. Questa è una delle due strade. L’altra, che esiste ed è percorribile, vede il pullman italiano imboccare lo sviluppo, le grandi riforme, la ristrutturazione dell’apparato industriale, il taglio dei rami secchi e la nascita di nuovi alberi sani.
Il ricambio di classe dirigente è un’alleanza tra passeggeri – le nuove generazioni – che si alzano e strappano il volante del pullman dalle mani di chi ottusamente, ciecamente sta portandolo verso la direzione sbagliata o verso il crash (attenzione infatti, perché nell’attuale scenario politico non c’è soltanto un ceto dirigente inadeguato e miope, che imbocca la strada del declino, c’è anche una fascia indecisionista che rischia di farci sbattere fuori strada, in mezzo al bivio, vale a dire una elite incapace di scelte seppur errate, che è forse peggio). Più tardiamo, più il pullman corre nella direzione sbagliata. E l’effetto si fa ancora più preoccupante se pensiamo che, un po’ come la carrozza di Cenerentola, mentre corre il grande pullman si trasforma in zucca. Il tempo che passa aggrava la situazione.

Strade, incognite, reti, antenne, pullman, carrozze, zucche. Alberi. Con tutto il rispetto per l’ortofrutta e per chi coltiva zucche, ma l’albero è un’altra cosa. Mi viene in mente un vecchio libro che raccontava di un uomo che piantava alberi: al giorno d’oggi, infatti, quasi nessuno ha la stoffa e la vision per farlo. Una piccola quercia, piantata ora, diventerà grande solo tra vent’anni. Nell’era del sondaggio, della velocità, del supersonico evolversi delle cose, l’idea della lungimiranza angoscia la vecchia classe dirigente, che ha il terrore di “morire”. Eppure, gli alberi hanno un senso profondo. Le radici che rendono stabile un terreno, che ne impediscono le frane (nel declino), le strutture che ci saranno lontano da qui negli anni, dove non è facile guardare e che sono difficili da immaginare, sono il nostro futuro.
Questo è il significato della scuola di formazione politica Dyrigo, il valore delle Y, e questo è e sarà l’obiettivo di coalizione generazionale che stiamo realizzando come Società Aperta Giovani in Italia. Piantare alberi politici, per trasformare gli orticelli in foresta. Per convertire l’incognita Y in nomi e cognomi capaci di prevedere e costruire il nostro domani, che facciano scelte intelligenti, al passo coi tempi ma non schiave dei tempi. Siamo la generazione Y, quella che può intervenire ed evitare, in extremis, con bravura, passione e responsabilità, una generazione Z senza più prospettive.

* Presidente di Società Aperta Giovani

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