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Il Nobel all'Unione Europea

Un riconoscimento tutto da guadagnare

Oggi l'integrazione politico-istituzionale non va più intesa come una romantica utopia europeista, ma come uno stringente stato di necessità, sia per salvare l’euro, sia per creare un sistema economico che per dimensione riesca a competere con il mondo di oggi.

di Enrico Cisnetto - 14 ottobre 2012

Dopo l’assegnazione del Nobel a Dario Fo, alcuni anni fa, e altre amene scelte del genere, il famoso premio svedese è decisamente svalutato. Ma ho paura che il colpo di grazia al suo valore gli sia stato assestato con il riconoscimento intitolato alla pace all’Unione Europea. Non solo non se ne capisce il senso, né umano né politico, tanto più perché si è mancato di distinguere la vecchia Comunità occidentale dall’attuale armata brancaleone dei 27 stati, alcuni dei quali fino alla caduta del Muro di Berlino sono stati più che attivi nella guerra, fredda e calda, Est-Ovest.

Ma è proprio il momento meno adatto per una simile attestazione. Infatti, è ormai valutazione condivisa che il tempo che viviamo sia definibile “una guerra senza armi”, perché i conflitti si sono trasferiti sul terreno dell’economia e, soprattutto, della finanza. Ed è non meno condivisa l’idea che l’Europa sia diventata protagonista della quarta fase della più grave crisi mondiale dal dopoguerra in poi, apertasi nell’estate del 2007 – dopo lo scoppio della bolla immobiliare, la crisi finanziario-bancaria e la recessione produttiva – perché incapace di dare all’euro nato meno che settimino uno Stato federale da cui dipendere. Ora, se è vero che siamo nel bel mezzo di un conflitto svolto con mezzi non tradizionali, e che le deficienze genetiche dell’Unione Europea sono un micidiale strumento di guerra – tanto che essa divampa persino all’interno dello stesso eurosistema, tra paesi ricchi con bilanci pubblici in ordine e paesi deboli e pesantemente indebitati – allora proprio non si riesce a capire come i blasonati accademici di Svezia abbiano potuto farsi venire una simile scelta.

Oggi la pace, in Occidente ma in sempre più larghe zone del mondo, vuol dire soprattutto stabilità e prosperità, mentre sul piano militare significa essenzialmente capacità di sconfiggere il terrorismo. Di contro, la crisi dei debiti sovrani europei, che sta mettendo in forse l’esistenza stessa dell’euro, è in questo senso un “fattore bellico” che espone a pericoli l’Europa e destabilizza l’economia mondiale. Dunque, visto che ormai il Nobel le è stato dato, la Ue se lo guadagni sul campo facendo fare al processo di integrazione politico-istituzionale dei paesi della moneta unica – che devono cedere quote di sovranità ad un governo federale eletto direttamente dai cittadini – quel progresso che avrebbe dovuto se non anticipare almeno accompagnare l’integrazione monetaria. La creazione degli Stati Uniti d’Europa è l’unica mossa in grado di tagliare le unghie alla speculazione, e dare “pace” all’area del mondo che nel secolo scorso ha pagato il più alto tributo alla guerra convenzionale.

Oggi questo passaggio – apertamente avversato dalla Francia, reso difficile dalla pretesa egemonica della Germania e reso fragile dal sostanziale agnosticismo degli altri, Italia compresa – non va più inteso come una romantica utopia europeista, alla Altiero Spinelli per capirci, ma come uno stringente stato di necessità, sia per salvare l’euro (che senza governo federale e Bce statutariamente ridefinita non può sopravvivere), sia per creare un sistema economico che per dimensione riesca a competere con gli Usa e i giganti asiatici e sudamericani senza soccombere. Beh, ora c’è un motivo in più: guadagnarsi un Nobel immeritato.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.