Lo switch off nel 2008? E’ un’utopia
Un piano Rovati per le tv
Il digitale terrestre non sarà mai il sistema più diffuso: il satellite è meno costosodi Davide Giacalone - 13 ottobre 2006
E’ in arrivo il Piano Rovati per le televisioni. Nel progetto di riforma preparato dal ministro Gentiloni, che esamineremo con la dovuta attenzione, è contenuta la ririproproga del termine per lo spegnimento della televisione analogica (quella che vediamo tutti) ed il passaggio definitivo al digitale terrestre, termine che sarà ririviolato.
Fu il centro sinistra, nel 2001, a stabilire che tutte le televisioni italiane avrebbero ricevuto, entro il 2006, un segnale digitale, e fu il centro destra, con la legge Gasparri, a riconfermare quella sciocchezza. Scommisi, assai per tempo, che non se ne sarebbe fatto nulla, mi diedero dell’ignorante, ma ero nel giusto. Ora scommetto che anche il 2008 ed il 2012, nuove date “finali”, passeranno invano. Il digitale terrestre non sarà mai il sistema più diffuso, perché il satellite è meno costoso e più capiente, offre più canali, e per l’interattività sarà la rete di telecomunicazione a praticare la rivoluzione. Il guaio è che al digitale terrestre s’impiccano, per incapacità del legislatore, una serie di conseguenze antitrust. Allora, come si fa a premere per diffondere una tecnologia per la quale il mercato non si entusiasma? Si concentrano le reti in una sola società e, per tutelare gli interessi dei vecchi proprietari, la si spinge ad investire in quel senso. Il che non è solo sbagliato, ma neanche funziona. Perché se la società sarà privata, come è giusto, inseguirà il profitto e, quindi, investirà dove c’è mercato, per costringerla ad investire dove anziché i soldi c’è la politica, invece, si dovrà metterci quattrini pubblici. Rovati si rimetta al lavoro.
Dicono le anime pie: il governo ce la mette tutta per promuovere il digitale, secondo i piani europei. Balle. Il governo e l’Autorità garante delle comunicazioni, al contrario, lavorano con solerzia per aggirare la legge, violare gli impegni internazionali, ignorare le direttive europee e bloccare lo sviluppo della radio digitale, il Dab, fin qui bloccata, guarda un po’ il caso, dall’occupazione illegittima delle frequenze da parte della Rai. Difficile che le cose vadano in modo lineare in un mercato in cui la legge è considerata vana parola da chi la scrive e da chi dovrebbe vigilare. Difficile che lo Stato sia regolatore, in un mercato dove è il principale operatore.
www.davidegiacalone.it
Pubblicato da Libero
Fu il centro sinistra, nel 2001, a stabilire che tutte le televisioni italiane avrebbero ricevuto, entro il 2006, un segnale digitale, e fu il centro destra, con la legge Gasparri, a riconfermare quella sciocchezza. Scommisi, assai per tempo, che non se ne sarebbe fatto nulla, mi diedero dell’ignorante, ma ero nel giusto. Ora scommetto che anche il 2008 ed il 2012, nuove date “finali”, passeranno invano. Il digitale terrestre non sarà mai il sistema più diffuso, perché il satellite è meno costoso e più capiente, offre più canali, e per l’interattività sarà la rete di telecomunicazione a praticare la rivoluzione. Il guaio è che al digitale terrestre s’impiccano, per incapacità del legislatore, una serie di conseguenze antitrust. Allora, come si fa a premere per diffondere una tecnologia per la quale il mercato non si entusiasma? Si concentrano le reti in una sola società e, per tutelare gli interessi dei vecchi proprietari, la si spinge ad investire in quel senso. Il che non è solo sbagliato, ma neanche funziona. Perché se la società sarà privata, come è giusto, inseguirà il profitto e, quindi, investirà dove c’è mercato, per costringerla ad investire dove anziché i soldi c’è la politica, invece, si dovrà metterci quattrini pubblici. Rovati si rimetta al lavoro.
Dicono le anime pie: il governo ce la mette tutta per promuovere il digitale, secondo i piani europei. Balle. Il governo e l’Autorità garante delle comunicazioni, al contrario, lavorano con solerzia per aggirare la legge, violare gli impegni internazionali, ignorare le direttive europee e bloccare lo sviluppo della radio digitale, il Dab, fin qui bloccata, guarda un po’ il caso, dall’occupazione illegittima delle frequenze da parte della Rai. Difficile che le cose vadano in modo lineare in un mercato in cui la legge è considerata vana parola da chi la scrive e da chi dovrebbe vigilare. Difficile che lo Stato sia regolatore, in un mercato dove è il principale operatore.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.