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Gestire una crisi senza precedenti

“Un piano potente, sistematico e pragmatico”

Per l’Italia serve un impulso forte, una manovra choc

di Angelo De Mattia - 27 novembre 2008

“Una risposta senza precedenti a una crisi senza precedenti”. “Un piano potente, sistematico e pragmatico”. Mette a frutto la lezione degli anni Trenta. L’enfasi e gli accrescitivi nelle dichiarazioni del Presidente Ue Barroso si sprecano a proposito del piano europeo di 200 miliardi, pari all’1,5% del Pil degli Stati membri, al quale la Commissione ha dato ieri il via libera per la sottoposizione al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’11 e 12 dicembre. Di tale somma, 170 miliardi, pari all’1,2% del Pil, saranno messi a disposizione dai suddetti Paesi, mentre l’importo rimanente (0,3%) sarà a carico del bilancio dell’Unione.

Barroso ha lanciato una appello perchè sia abbandonato il pessimismo, che sarebbe oggi di moda fra gli intellettuali, e perchè si abbia fiducia nella possibilità di “cambiare le cose”. E in effetti, ammesso che oggi sia giustificato il pessimismo della ragione, sarebbe doveroso comunque l’ottimismo della volontà, anche se quest’ultimo è un valore che non si stanzia nei bilanci, pubblici o privati. Ma alla constatazione della novità e dell’importanza della decisione della Commissione non può non affiancarsi l’osservazione che, anzichè di un organico piano, si tratta, invero, del coordinamento delle iniziative nazionali anticrisi. Queste, come dice Barroso, “non devono essere identiche”, una taglia non va bene per tutti: ciò che importa è il raccordo.

E’ difficile ritenere che l’Unione Europea improvvisamente potesse diventare soggetto unitario di politica economica con corrispondenti amplissime possibilità di erogazione della spesa e di reperimento delle risorse. Sotto questo profilo, il piano-coordinamento è la rappresentazione plastica dello stato dell’integrazione dei Paesi membri, insoddisfacente, ma per ora non modificabile.

E tuttavia un impegno maggiore dell’Unione avrebbe potuto essere dispiegato, sia per la quantità della somma imputabile al proprio bilancio sia per la qualità e la selettività degli interventi nazionali. Nasce in ogni caso il problema della computabilità di questi interventi. In sostanza, l’apporto dell’1,2% del Pil dei singoli Stati in altro non consiste che nelle misure che essi si accingono, motu proprio, ad assumere, anche a prescindere dalle decisioni dell’Unione, come, per esempio, avverrà in Italia venerdì prossimo. Insomma, non si tratterebbe di importi aggiuntivi, ma sarebbero le medesime cifre a livello nazionale ed europeo (occorre, quindi, prevenire una svista, come accadde, per ricorrere a una metafora, con le mucche di una razza pregiata che, in una regione del Sud, venivano trasportate, sempre le stesse, in tutti i centri nei quali l’allora Presidente del Consiglio Fanfani teneva dei comizi, con l’intento di dimostrare al leader democristiano quanto fosse diffusa quella razza). Il plusvalore della delibera di ieri sarà dato, dunque, dalla capacità della Commissione di raccordare gli interventi, tentando di conferire ad essi una logica unitaria anti-recessione. In più, l’adozione di questo soi-disant piano spingerà ad agire quei Paesi più lenti o restii a promuovere misure di intervento. Coordinamento, possibile migliore indirizzamento, indiretta moral suasion: questi gli aspetti per i quali il piano può essere positivamente valutato. Nulla di più. Ex nihilo nihil. Si è, in effetti, ancora lontani da quel vero e proprio piano europeo per le infrastrutture e la ricerca – la tante volte auspicata riedizione del piano Delors – da finanziare attraverso la rete delle Casse Depositi e Presiti e la Bei, nonchè con l’emissione di bond comunitari. E’ su iniziative di questo tipo che si potrebbe adeguatamente valutare la capacità politica ed economica dell’Unione. Se è vero che non si può essere protagonisti in difetto dei necessari poteri, è altrettanto vero che è nei fatti, nella costituzione materiale, nello stato di eccezione – quale potrebbe essere quello della grande crisi che oggi viviamo – che si possono trovare le ragioni per il progredire degli ordinamenti e delle istituzioni.

In definitiva, rilevati i limiti, è da augurarsi che l’impulso degli Organi europei sia all’altezza della gravità del momento e degli impegni enfaticamente assunti da Barroso. Il testimone ora passa alla Commissione che dovrà procedere alla definitiva messa a punto del concetto di flessibilità del Patto di stabilità e crescita - sul quale si stanno registrando, di volta in volta, aperture e ritorni di rigorismo - e alla Bce per la politica monetaria. E’ diffusa l’attesa per giovedì, 4 dicembre, quando l’Istituto di Francoforte deciderà sul livello dei tassi di riferimento. Ci si attende diffusamente una loro consistente riduzione. Se contorniata da positive determinazioni su questi due versanti, la delibera di ieri, con tutte le incertezze, potrebbe vedere accresciuta la propria efficacia. Poi occorrerà verificare le misure che saranno assunte nei singoli Paesi. Tarda a farsi strada in Italia l’esigenza che si ponga in essere “per facta concludentia” una terapia d’urto: il che non significa necessariamente smantellare il Patto di stabilità o dissestare i conti pubblici. Serve un impulso forte, una manovra choc: ancor più efficace potrà essere, se riuscirà a combinarsi con iniziative altrettanto forti a livello europeo. E qui si potrebbero sperimentare forme di convergenza tra le diverse forze politiche. La crisi non sta, certamente, per risolversi. I primi mesi del prossimo anno potrebbero essere assai duri. Una valida azione di contrasto richiederebbe che a promuoverla siano forze salde, estese, capaci di resistere all’offensiva della stessa crisi.

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