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Il governo scopre la crisi: le ricette a breve

Un patto per non sprecare l’anno

Per rimettere in moto l’Italia si devono coinvolgere anche l’opposizione e le parti sociali

di Davide Giacalone - 16 maggio 2005

A Palazzo Chigi hanno realizzato che c’è un problema: la crisi. Non siamo in recessione, sostiene Berlusconi, ma la stagnazione c’è tutta e non è facile uscirne, occorre uno sforzo comune. Ora che se ne sono accorti, cerchiamo di capirci meglio e di non raccontarci balle.

La crisi economica, l’aria di stagnazione colpisce tutta l’Europa continentale, i cui ritmi di crescita sono asfittici. Pesa, certamente, l’alto prezzo del petrolio, ma pesa prima di tutto il fatto che i Paesi più ricchi e sviluppati devono rivedere il loro modello di sviluppo e di vita, se non intendono trasformare la globalizzazione da opportunità in loro tragedia. Questi sono fenomeni che non possono essere certo messi sul conto di questo o quel governo. In più, l’Italia ha un debito pubblico enorme ed opprimente, la cui accumulazione risale indietro negli anni. C’era chi lo aveva detto: i nipoti pagheranno i debiti dei nonni. Eccoci qui.

Detto questo, però, ci sono anche colpe specifiche di questo governo. L’Europa cresce troppo poco, ma l’Italia cresce assai meno, ed ora si è anche fermata. Il nostro è un meccanismo produttivo impastoiato d’arretratezza e corporativismo, che richiedeva politiche drastiche, chiare e determinate di liberalizzazione, apertura al mercato, caduta di barriere alla competizione. Non si è visto nulla di ciò. La spesa pubblica è rimasta quella di sempre, ovvero destinata alla spesa corrente e sempre meno indirizzata agli investimenti, per niente indirizzata alla ricerca. Non a caso, nel mentre emerge la realtà della stagnazione si sta ancora parlando del contratto degli statali. Si lamenta il calo dei consumi, ma si sta ad ascoltare Sergio Billè, il presidente della Confcommercio che spera in famiglie capaci di spese maggiori (quindi con più denari pubblici nelle tasche), mentre si deve puntare a prezzi più bassi propiziati da sistemi distributivi competitivi e non tardo feudali. E così via.

Queste responsabilità del governo inducono a guardare altrove, ma lo spettacolo è desolante. Il sindacato è la roccaforte del corporativismo. La Confindustria è oggi animata da gente che amministra aziende virtualmente fallite, prive di respiro internazionale, ripiegate nel prosciugare gli ancora ricchi consumi interni e nelle mani delle banche. La sinistra si riserva il diritto di criticare (ed è giusto che lo faccia), ma, come osserva Michele Salvati, ad un certo punto dovrà pur dirci cosa intenderà fare, se si troverà a governare.

Pierluigi Bersani, esponente ds, mostra di comprendere quali rischi corriamo e propone a Berlusconi un patto per non rendere inutile l’anno che va da qui alle elezioni: “… mi sta bene anche un pacchetto immediato di liberalizzazioni…”. Se la politica esistesse ancora, non lascerebbe cadere una simile opportunità.

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