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Il vero problema è il deragliamento istituzionale

Un Paese travagliato da guerre interne

Non si tratta di stabilire a chi dare ragione, ma di trovare il modo per uscire dal torto collettivo

di Davide Giacalone - 18 marzo 2010

Possiamo anche far finta che tutto sia normale e che, quindi, siano accoglibili gli alati richiami al rispetto delle diverse competenze istituzionali. Ma è un falso. La patologia giudiziaria infetta, oramai, ogni aspetto della vita pubblica. Il rispetto degli equilibri istituzionali, pertanto, impone di parlar chiaramente, non di tacere opacamente.

Dire, come ha fatto il Presidente della Repubblica, che si devono rispettare sia le indagini che gli ispettori, quindi sia la procura che il ministero mittente delle ispezioni, è cosa formalmente giusta, apparentemente equanime, ma praticamente inutile.

Il problema è solo secondariamente il potenziale conflitto fra le istituzioni, essendo primariamente quello del deragliamento istituzionale. Insomma, i mezzi di comunicazione sono inondati da intercettazioni provenienti dalla procura di Trani e, al momento, l’unico reato evidente è quello relativo alla loro diffusione.

L’ipocrisia, fino a pochi giorni fa, consisteva nel considerare pubbliche le carte d’accusa una volta depositate e messe a disposizione delle parti, ora la turpitudine s’è evoluta e le notizie arrivano direttamente dal vivo delle indagini, prima che gli stessi indagati sappiano d’essere tali. A questo punto scatta il ridicolo: il ministero della giustizia invia degli ispettori, ma dalla procura fanno sapere che non mostreranno le carte, perché coperte da segreto istruttorio. Avrebbero dovuto spedirli in edicola, gli ispettori, anziché a Trani.

E il Consiglio Superiore della Magistratura, dimentico dei propri compiti istituzionali, non sente come scandalosa la pubblicazione di quel che sarebbe dovuto restare segreto, ma il tentativo di appurare chi ne sia il responsabile.

Non si tratta, a questo punto, di stabilire a chi dare ragione, ma di trovare il modo per uscire dal torto collettivo. Il Quirinale farebbe bene a non sentirsi arbitro fra le parti, ma parte in causa nel tentativo di riportare tutti al rispetto delle leggi. Il che, naturalmente, comporta anche un discorso chiaro sia sulla necessaria riforma delle autorità di garanzia, che non sono né autorevoli né in grado di garantire, sia sull’indirizzo della Rai, che non potrà mai essere altro che politicizzato e lottizzato, fino al glorioso giorno in cui si farà l’unica cosa utile: privatizzarla.

Le intercettazioni che schizzano fuori da tutte le parti segnalano due problemi, cui non sembra si sappia e si voglia porre rimedio. Il primo è relativo al calpestio di ogni riservatezza personale, fin nella sfera più intima, ergendo il magistrato a censore dei costumi, quindi in grado di punire non solo il reato, ma anche il peccato. A tale guasto non pone rimedio il disegno di legge che la maggioranza si accinge ad approvare, perché tutto concentrato sulle sanzioni contro la pubblicazione. Che non hanno mai funzionato.

La soluzione deve essere più radicale: le intercettazioni non sono prove e non devono mai essere depositate, sono strumenti d’indagine, devono servire per mettere sulle tracce dei delinquenti e, quindi, per trovare le prove dei reati commessi, dopo di che non arrivano mai al processo, perché inutili. Solo in uno schema di questo tipo, già vigente in altri Paesi, la pubblicazione di conversazioni private può essere punita severamente, perché il reato più grave lo commette chi aveva a disposizione quelle carte.

Il secondo problema è ancora più delicato e riguarda il controllo della polizia giudiziaria. L’indagine di Trani è un capolavoro, perché indubitabilmente condotta in una sede che non ha competenza territoriale. Ma non è la prima volta che delle indagini si trovano in mani diverse da quelle che dovrebbero legittimamente gestirle. Si ha l’impressione, insomma, che prima nasca l’indagine e poi il procuratore che la coordina. Questo fenomeno, già terribilmente deviante, s’ingigantisce in epoca digitale, quando si possono effettuare intercettazioni non solo nel presente, ma anche sul passato.

Tutto questo restituisce l’immagine di un Paese travagliato da guerre interne alle istituzioni, attraversato da gruppi in conflitto e concorrenza, che potremmo anche definire bande disposte a tutto, pur di appropriarsi di una qualche brano di ciccia. Per questo non ha molto senso richiamare al rispetto degli equilibri fra istituzioni, giacché è venuto meno l’equilibrio interno a quelle stesse.

Pubblicato da Il Tempo

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