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Consumi, crescita e struttura industriale

Un Paese di “poveri ricchi”?

Per contrastare la recessione bisogna cambiare il paradigma industriale italiano

di Enrico Cisnetto - 12 gennaio 2009

D’accordo, il tanto temuto tonfo dei consumi in questo Natale non c’è stato. Non si è verificato quel crollo del 20-30% vaticinato tempo fa dalle associazioni dei commercianti (forse per mettere le mani avanti) e anzi, secondo i dati Confcommercio, ci sarebbe addirittura un +3-5% nei saldi di questi giorni. Tutto bene, dunque? Sarà una “recessione soft” grazie al fatto che gli italiani non rinunciano a spendere? Direi di no, per una serie di motivi.

Primo: il 2008 si chiude comunque con una decrescita dei consumi del 2% (Confcommercio), che rappresenta il dato peggiore degli ultimi quarant’anni. Secondo: le famiglie hanno beneficiato di fattori positivi, come le rate dei mutui un po’ più leggere (l’Euribor è dimezzato rispetto a un anno fa), bollette e pieno di benzina alleggeriti (con lo scivolone del petrolio). Terzo: gli italiani rimangono sostanzialmente “ricchi” rispetto ai cittadini di altri paesi. Come dimostra l’ultimo rapporto della Banca d’Italia, anche nel 2007 – già con i venti di crisi in arrivo – il patrimonio della “famiglia Spa” ha avuto segno più (+3,9%). Ogni nucleo gode di una ricchezza netta di 360 mila euro, per un totale di 8.512 miliardi, ha beni (soprattutto immobiliari) pari a 5 volte il reddito disponibile, e superiore a quello di Stati Uniti e Germania.

Insomma, siamo un Paese di “poveri ricchi”, che possono continuare a spendere (più o meno) perché consumano ciò che altri (o loro stessi in passato) hanno accumulato. D’altra parte, dal 1992 a oggi mentre il reddito pro-capite è rimasto sostanzialmente piatto (e il pil nazionale ha perso progressivamente punti rispetto sia ad Eurolandia che agli Usa), i consumi sono saliti di un solido +1,25% all’anno, con punte dell’1,7% negli anni Novanta. Questo perché, da una parte, si è continuato ad intaccare il patrimonio accumulato, e dall’altra, perché i consumi sono una variabile legata anche a fattori emotivi quali le aspettative sul futuro. Di qui l’assurdità di pensare – come dimostra il fallimento delle strategie per aumentare la domanda adottate tanto dai governi di centro-sinistra che di centro-destra – che per contrastare la recessione si possa spingere solo sul pedale di consumi, piuttosto che ripensare la struttura industriale, da due decenni sempre meno produttiva e competitiva.

Ma anche a voler credere nelle virtù taumaturgiche dei consumatori, spiace segnalare che questo trend non durerà all’infinito. Cosa significa che sta aumentando clamorosamente (dal 51% del 2007 al 69%) il numero di persone impossibilitate a risparmiare? E non è significativo che stiamo cominciando a indebitarci pesantemente, come mostrano gli ultimi dati Assofin secondo cui nel 2008 c’è stata un’impennata sia dei prestiti personali (+12,5%) sia delle cessioni del quinto (+30,7%), e che, nello stesso tempo, quel credito al consumo che gli italiani avevano iniziato ad utilizzare massicciamente, è crollato (-12,7%)? Semplice: ci stiamo indebitando non per migliorare (vedi alla voce auto), ma per mantenere uno stile di vita coerente con quello del passato, che non potremmo più permetterci sulla base del flusso di reddito (come dimostra la caduta libera dell’indice Isae sulla fiducia dei consumatori). In questo scenario, il successo delle liquidazioni di fine anno è una ben magra (e grottesca) consolazione. Si saldi chi può.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.