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Public Policy

Unire le grandi aree antropologico-politiche

Un nuovo compromesso storico

Quando servono riforme strutturali non si può escludere l'una o l'altra parte politica

di Antonio Gesualdi - 19 luglio 2005

Il governo di Ivanoe Bonomi, il primo dopo Badoglio, quello dal giugno a dicembre del '44, è un governo di un Paese uscito distrutto dalla Seconda guerra mondiale e dal fascismo. E' il governo dove siedono insieme, anche senza portafoglio, Saragat e Croce, ma anche De Gasperi e Togliatti. Ci stavano dentro tutti: Dc - Pci - Psi - Pli - Pri - Pdl - Pd'a - Psiup. Oggi un governo così più che dare speranza al Paese ci preoccuperebbe. Eppure anche negli anni Settanta, con l'inflazione a due cifre, il terrorismo nazionale che appariva invincibile e i turbamenti di mentalità, con diverse modalità, fu riesumato quel "compromesso storico". Negli anni sessanta ne andava parlando già Ugo La Malfa.

Insomma l'Italia politica quando deve trovare una soluzione al declino strutturale sembra portata al compromesso. Qualcuno, più tardi, per effetto giornalistico, ma per difetto di analista, l'ha definito "inciucio".

Perché accade questo è abbastanza semplice: l'Italia è divisa in tre grandi aree antropologiche, e quindi politiche, e il consenso che serve per poter governare il Paese in periodi di crisi deve essere molto alto. (Clicca qui per aprire la cartina della distribuzione geografica dei consensi alle politiche del 2001). Per poter ottenere questo consenso - e quindi un governo che governi - è necessario coinvolgere anche quel 30% di popolazione che abita le regioni del centro Italia. In queste regioni, dal Secondo dopoguerra, il blocco di sinistra ha ottenuto, e ottiene, consensi molto alti, ma è stato quasi sempre escluso dal governo. Tranne, appunto, nell'immediato dopoguerra e in qualche modo negli anni settanta. Questa è la ragione del compromesso storico.

L'Italia quando ha bisogno di riforme strutturali non può escludere l'una o l'altra parte politica dalle scelte di governo.

L'analisi della collocazione geografica dei partiti, oggi, è una dimostrazione di come la politica nazionale agisce in periodi di crisi. I diessini, ad esempio, sono antagonisti (definiamo "antagonisti" i partiti che raccolgono consenso nella stessa area geografica, mentre sono "complementari" quelli che raccolgono consenso in aree geografiche diverse: se i partiti complementari si unificano hanno, generalmente, un consenso più diffuso e più consistente) al Nuovo Psi, a Rifondazione, ai Comunisti italiani, ad An e all'Udc. Paradossalmente questo significa che i diessini farebbero meglio ad allearsi con la Lega Nord, con Forza Italia che con Rifondazione o i Comunisti italiani. Questo costringerebbe gli elettori di quella determinata area a non disperdere il voto nello stesso ambito di rappresentanza. Il problema esiste perché nel nostro paese il voto al singolo partito è prevalentemente molto concentrato in alcune aree geografiche e quasi nullo in altre. Emblematico il voto alla Lega Nord o ai partiti di sinistra.

Vale per i Ds quello che vale anche per Alleanza nazionale che ha per antagonisti i Radicali, Nuovo Psi, Lega Nord, Di Pietro e Diffusione europea, ma ha come complementari Rifondazione, Forza Italia, Ds, Comunisti italiani e Udc. E non a caso i partiti che hanno molti complementari e pochi antagonisti sono Forza Italia e La Margherita e sono anche quelli più distribuiti in tutto il Paese.

Queste osservazioni sono frutto di dati elettorali elaborati su cartogrammi di diffusione di ogni singolo partito su dati del Ministero dell'Interno con il sistema “Sintesi” del Laboratorio di studi territoriali, Circe, dello Iuav di Venezia. Appare evidente, quindi, che la tendenza al compromesso - o se si vuole al centrismo - è strutturale alla politica italiana. Questo perché la politica non è un'astrazione, ma è il risultato del sistema valoriale del Paese che la esprime. L'Italia esprime partiti politici, così collocati e distribuiti, che corrispondono ai sistemi strutturali antropologici generali. Quando può bastare un consenso vicino alla maggioranza dei votanti (e perfino minoranza) è possibile un governo per un breve-medio periodo (e quasi mai per un'intera legislatura), ma quando è necessario un consenso più ampio per un governo più stabile - o che realizzi determinate riforme condivise - l'unica strada possibile è quella di un accordo a largo raggio tra partiti complementari. E a prima vista questo accordo tra partiti complementari può apparire paradossale.

Che questa cosa, secondo il periodo, sia definita "unità nazionale", "compromesso storico", "governo di transizione", "governo di coalizione" eccetera, eccetera poco cambia. Di fatto l'Italia è così.

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