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Public Policy

Urge una seria e radicale riforma del SSN

Un mito da sfatare

Per un sistema sanitario più efficiente è necessaria la separazione tra l’ente assicuratore e l’ente erogatore delle prestazioni

di Cesare Greco - 29 luglio 2010

Via ai tagli in sanità per rientrare dall’enorme debito accumulato grazie ad un sistema che si è mostrato inadeguato allo scopo e alla dissennatezza delle amministrazioni locali. Di fronte ad un eclatante fallimento come quello del nostro SSN, a nessuno viene il dubbio che sia giunta l’ora di studiare una profonda riforma che ridia agli italiani fiducia in un sistema in rapida e inarrestabile decadenza. Anche perché la decadenza di un sistema sanitario non si traduce solo in un danno economico per la collettività, ma soprattutto in un rischio salute aumentato per il singolo. Sorprendono, quindi, le affermazioni di alcuni politici che ancora continuano a definire il nostro sistema sanitario uno dei migliori, se non il migliore del mondo, come recentemente affermato, in un’intervista a Gianni Minoli, da un uomo accorto come Giuliano Amato. Probabilmente non hanno mai provato sulla loro pelle quelle disfunzioni che tutti i comuni cittadini, quotidianamente, sperimentano sulla loro.

Anche quest’anno il VII rapporto CEIS fotografa la situazione della sanità italiana consentendo di approfondire le valutazioni politiche su questo importante capitolo del welfare. Dopo anni di allarme sulla spesa fuori controllo (il VI rapporto prevedeva un ulteriore buco di 10 miliardi per quest’anno, in assenza di interventi) il rapporto 2010 rileva l’arresto di questa tendenza, risultando attualmente del 17,6% inferiore, come spesa pro capite, rispetto alla media degli altri paesi dell’Europa a 15.

Tutto bene, dunque? Neanche per idea. Lo stesso rapporto rileva come negli ultimi anni 5 milioni di italiani si siano impoveriti per poter far fronte, di tasca propria, alle spese per la salute e come di questi almeno la metà ha dovuto rinunciare a curarsi per i costi eccessivi che ciò avrebbe comportato. In sostanza, sembra essere ormai fallito quel modello di assistenza universale che ci si era illusi di attuare con le riforme che dal 1978 (abolizione delle mutue e incorporazione della spesa sanitaria nella spesa pubblica sotto controllo politico) fino alla legge Bindi (definitiva occupazione “militare” della sanità da parte della politica) si sono succedute negli anni.

Per tentare di ridurre la spesa si sono tagliati posti letto, si sono chiusi ospedali, si sono messi o aumentati ticket senza nessun apparente criterio logico e di programmazione territoriale, ma guarda caso è aumentato del 2.05% il personale amministrativo, magari spostando a compiti d’ufficio personale dei ruoli sanitari, essenzialmente ausiliari, come avvenuto in molti grandi Ospedali come l’Umberto I di Roma. In sostanza, è vero che si è attuato un controllo della spesa, ma questo controllo è avvenuto tutto a scapito dell’assistenza pubblica ai malati, mentre non sono state toccate le incomprimibili spese clientelari e non sono stati messi in pratica i controlli sull’appropriatezza delle prestazioni in ambito privato accreditato.

Appare, dunque, stupefacente il commento del ministro Fazio sui dati dell’ultimo rapporto CEIS: "Ci sono certamente alcune criticità e diseconomie, ma in ogni caso la sanità italiana regge ed è tra le migliori al mondo. E" una sanità buona che piace ai cittadini (compresi quei 5 milioni di cui sopra? ndr)". Il ministro è un medico e scienziato di indubbio valore, purtroppo però la competenza di un ministro non si misura con l’impact factor delle sue pubblicazioni scientifiche, ma con la capacità di individuare i problemi e le soluzioni per risolverli, magari proponendo una riforma dell’intero settore. Ciò che non va lo andiamo ripetendo da tempo, consapevoli della totale indifferenza alle nostre opinioni di quanti dalla spesa sanitaria attingono risorse da distribuire ai propri galoppini o agli imprenditori privati di riferimento, cioè di tutte quelle forze politiche che in varia misura gestiscono la spesa sanitaria delle varie regioni. Ma siamo anche testardi, a rischio di apparire fastidiosamente ripetitivi.

Intanto un mito da sfatare, mito alimentato solo dalle apodittiche affermazioni dei rappresentanti della classe politica, è che la nostra sia una delle migliori sanità del mondo, a meno che non ci si voglia confrontare con alcuni paesi del terzo e quarto mondo, e neanche tutti. In questo senso i dati forniti dall’Euro-Canada Healt Consumer Index 2010 appaiono deprimenti nella loro crudezza e ci riportano con i piedi per terra, ricollocando il nostro sistema sanitario nel posto che gli compete: il quattordicesimo tra i paesi UE. Il rapporto viene redatto annualmente dal Frontier Center of Public Policy, un’organizzazione indipendente, no-profit con sede in Canada. Il rapporto ha valutato i sistemi sanitari dei 27 Paesi UE oltre a Norvegia, Svizzera, Croazia, Macedonia, Islanda, Albania, e Canada dando un punteggio da 1 (scarso) a 3 (buono) a ciascuno dei 32 indicatori di performance scelti e riuniti in 5 macroaree: diritti e informazioni dei pazienti, tempi d’attesa per le cure, risultati, gamma e estensione dei servizi, medicinali.

Su un punteggio massimo di 1000, l’Italia ha totalizzato 694 punti a ben 163 di distanza dall’Olanda, risultata il paese con il migliore SSN e 131 dalla seconda, ovvero la Germania. Peggio dell’Italia si sono collocati il Regno Unito, diciassettesimo, e il Canada, addirittura venticinquesimo.

Ma qual è il senso, diciamo, politico di questi risultati? La risposta la danno i ricercatori stessi sottolineando come tra i due sistemi attualmente più diffusi, ovvero il sistema Bismarck (basato sulle assicurazioni sociali…le mutue, insomma) e il sistema Beveridge (basato sul totale controllo statale), il primo surclassi decisamente il secondo nei paesi con maggior numero di assistiti (vedi Germania rispetto a Italia, Regno Unito e Canada), mentre nei paesi con popolazione più scarsa (paesi dell’estremo nord europeo) il Beveridge sembra comportarsi meglio. Tutt’altro discorso per l’Olanda, che negli ultimi anni ha adottato un sistema totalmente diverso, creato ex novo solo nel 2006 e che già oggi mostra eccellenti risultati.

La cosa francamente imbarazzante è che fino al 1978 l’Italia seguiva il sistema Bismarckiano, abbandonato per passare ad un sistema ideologicamente più di sinistra, ma di gran lunga peggiore per i suoi effetti pratici. Bravi, bella pensata, verrebbe da dire col tormentone di una pubblicità radiofonica di una nota marca di automobili. Il limite principale e, tranne che in Italia, universalmente riconosciuto dell’attuale sistema italiano e dei sistemi Beveridge in generale, nonché causa della sua insostenibilità e progressivo declino, infatti, consiste nella mancata separazione tra l’ente assicuratore (lo Stato) e l’ente erogatore delle prestazioni sanitarie (sempre lo Stato), laddove proprio da questa separazione e dalla più ampia possibilità di scelta lasciata al cittadino consumatore deriva, soprattutto nei Paesi medio grandi, lo sviluppo di un sistema sanitario più efficiente e performante.

Ma un sistema di questo genere presuppone alcune cose difficili da trovare in Italia. In primo luogo coraggio politico, a parte i roboanti proclami, malinconicamente assente sia a destra che a sinistra (non è neanche necessario spremersi troppo le meningi, basta copiare, magari dagli olandesi o da noi stessi come eravamo), in secondo luogo la capacità di immaginare uno sviluppo sociale diverso da quello teorizzato dalle ideologie del 900 (qui sì servirebbe un minimo di intelligenza e immaginazione politica) che riporti il benessere del cittadino-contribuente singolarmente inteso al centro dell’azione politica, infine la capacità di rinunciare alle cospicue rendite parassitarie assicurate ad una classe politica inetta e chiacchierona dal comodo mammellone della sanità. Vi pare possibile?

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