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Un luogo terzo dove restare

Da Chianciano, un grande piano per l'Italia

di Enrico Cisnetto - 12 settembre 2009

Gli “stati generali” dell’Udc coincidono con una fase tra le più brutte e pericolose della vita pubblica nazionale. In queste ore mi è capitato di fare un paragone con il 1992-1994: il livello di imbarbarimento è simile, salvo che rispetto ad allora non sono più (o solo) le Procure a “manovrare lo sputtanamento”, bensì i mezzi d’informazione, che allora furono comprimari, cui la politica ha colpevolmente dato piena delega a farsi rappresentare. Il risultato, temo, sarà lo stesso, ma oggi di fronte al gossip sulle abitudini sessuali del prossimo, si rischia di dover rimpiangere l’accusa di “rubare per il partito”, di certo più dignitosa di quella di organizzare festini a base di escort o di molestare la moglie del proprio amante omosessuale.

Insomma, l’impressione è che la Seconda Repubblica abbia imboccato una strada senza ritorno come 17 anni fa accadde alla Prima, e che come allora dovremo stomacarci con una stagione mefitica fatta di veleni, di scene poco edificanti, di convulsioni strazianti. Con un’aggravante fondamentale, però: che oggi veniamo da un disastro durato oltre tre lustri, che ci ha costretto ad affrontare una crisi epocale come quella finanziaria e recessiva degli ultimi due anni dovendola sommare con la lunga “crisi italiana”, cioè con un declino che ha portato l’Italia a perdere qualcosa come 15 punti di pil rispetto ad Eurolandia e 35 rispetto agli Stati Uniti, e quindi a posizionarsi in una zona di marginalità nel contesto della competizione globale. Per questo il Paese è depresso, scettico, abulico, portato a difendere quel che c’è non certo per convinzione ma per la paura del vuoto che gli si apre davanti.

Dunque, a mio avviso, in una situazione pericolosa e complessa come questa, una forza come l’Udc – che per amore o per forza si è chiamata fuori dai due schieramenti del falso bipolarismo italico, luogo terzo in cui consiglio vivamente di restare – non può non porsi due ordini di obiettivi: come fare perché la chiusura di questa stagione politica sia più veloce e meno dolorosa possibile; come fare perché l’apertura della nuova fase sia virtuosa. Qui voglio soffermarmi sulla prima e più urgente questione, rimandando le riflessioni più approfondite sulla seconda questione – e sulle conseguenze che essa ha per la stessa Udc – all’intervento che come presidente di Società Aperta sono stato invitato a fare nella giornata di oggi a Chianciano.

Dunque, come ci si deve comportare di fronte alla progressiva, ma finora lenta, implosione del sistema politico imperniato sulla figura di Silvio Berlusconi? A mio avviso, occorre fare in modo che il processo acceleri, per evitare che la legislatura si trascini faticosamente, galleggiando sul guano. E per far questo occorre incalzare il premier e il Governo con iniziative politiche forti e serrate, capaci di dare coraggio e di unire le forze – a cominciare da quelle che sono dentro il Pdl – che guardano con preoccupazione all’involversi della situazione. E chi meglio dell’Udc, forte della sua posizione terza, può fare questo lavoro prezioso? Sento già Cesa e Casini che mi tirano le orecchie: “ma è quello che facciamo”. Vero, occorre dare atto al gruppo dirigente dell’Udc di aver fatto questa scelta e di averla portata avanti con coerenza. Ma bisogna fare di più. Cosa? Almeno tre scelte. La prima: non limitarsi a opporre il buonsenso agli errori del Governo e al vuoto pneumatico di proposta della sinistra, ma offrire al Paese un più vasto progetto di rinascita e sviluppo. Un grande “piano per l’Italia”, che si traduca anche nella creazione di una sorta di governo-ombra (tanto quello del Pd è morto e sepolto), con caratteristiche non tanto e non solo oppositive bensì propositive. Pensate, per esempio, a quale effetto politico si avrebbe se l’Udc riprendesse e rilanciasse – magari con una grande raccolta di firme per una legge d’iniziativa popolare – la proposta di Società Aperta della convocazione di un’Assemblea Costituente. Per di più se accompagnato, questo progetto, da una proposta dettagliata di come semplificare i troppi livelli istituzionali in cui è articolato lo Stato, cominciando così una grande battaglia politica antagonistica della Lega di opposizione al federalismo. Insomma, la parola d’ordine deve essere “se gli altri parlano di escort, noi indichiamo nel merito le grandi riforme strutturali da fare”.

La seconda decisione: dialogare in maniera più aperta con tutti quegli interlocutori che oggi pongono il “problema Berlusconi” nella maniera più corretta e utile, cioè quello non della sua demonizzazione o delegittimazione, ma della sua fragilità politica. E in questo senso per l’Udc l’interlocutore numero uno non può che essere Gianfranco Fini. Occorre dargli atto che è stato coraggioso sia nell’interpretare come doveva (e come aveva già fatto Casini) il suo ruolo di presidente della Camera, sia nel porre il problema della “monocrazia berlusconiana” (secondo la felice definizione di Giuliano Ferrara) dentro il Pdl, sia infine nel contrastare la “trazione leghista” del Governo. Casini tenda dunque la mano a Fini, ed entrambi accolgano l’invito che gli dovesse essere lanciato – magari da Società Aperta – di un incontro pubblico che sancisca una loro alleanza. La terza e ultima decisione riguarda il partito: per svolgere oggi il ruolo di acceleratore del processo di superamento della Seconda Repubblica e domani di aggregatore di forze che siano protagoniste di un avvio virtuoso della Terza Repubblica, non basta auspicare l’allargamento dell’attuale Udc. Occorre fare molto di più, e io stesso ho più volte sollecitato – tramite Liberal e i convegni della Fondazione Liberal – la creazione di un partito holding che si ponga il problema di rappresentare vasti strati della società civile, a cominciare da quelli di cultura laica. Ma proprio di questo vorrei parlare oggi a Chianciano.

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