Il rischio è quello di violare le regole del mercato
Un’idea alquanto bislacca
I prefetti non sono vigili. Chi ha fatto il furbo può passarla lisciadi Davide Giacalone - 17 marzo 2009
L’idea di affidare ai prefetti il controllo e l’erogazione del credito è talmente bislacca da chiedersi a chi mai sia venuta. A nessuno. Se è possibile ragionare (ne dubito) fuori dal pettegolare sui, presunti o reali, conflitti istituzionali, e fuori dal propagandismo un tanto al chilo, il problema riguarda tutta l’azione pubblica contro la crisi. E’ serio ed insoluto.
Spetta alle banche stabilire a chi, come e quanto credito concedere. Questo è il succo della loro attività imprenditoriale. Dire che si deve far credito alle persone serie ed alle aziende che cresceranno è cosa tragicamente ovvia, perché quelli sono i clienti che le banche dovrebbero contendersi, fuggendo, invece, da dissipatori e falliti. La vigilanza della Banca d’Italia, serve a spingere verso il rispetto delle regole e dei criteri contabili. Dopo di che, non è certo un ispettore che può dire se dare i soldi a Bianchi e negarli a Rossi.
Fin qui, siamo sullo scolastico. Le cose si complicano quando sono le banche a star male, anche a causa degli errori commessi, rendendo necessaria l’iniezione di soldi pubblici. In questo caso, come prevede la convenzione fra ministero dell’economia e banche, gli aiuti si accompagnano al rispetto di alcune condizioni.
E’ vero che i soldi statali salvano le banche, che non sempre lo meritano, ma a patto che adempiano il loro dovere e facciano affluire credito al mercato. Non si prendono quattrini dalle tasse che gli italiani pagano per rattoppare i buchi nei bilanci di chi dava lezioni e si faceva pagare come fosse un genio della finanza. Inoltre c’è il rischio che il credito sia tolto a chi può restituire i soldi (quindi è sano) e dato a chi ha male amministrato, quindi non può in nessun modo rientrare.
Se si mettono delle condizioni, si deve poi vigilare ed obbligare. Come? I prefetti potranno gestire tavoli di lamentele, segnalare problemi sociali con riflessi sull’ordine pubblico, ma non potranno violare il segreto bancario e non erogheranno sanzioni. Rappresenteranno lo Stato centrale, in tutta la sua minacciosa impotenza. Aprendo le casse pubbliche si sospendono le regole del mercato, ma senza altre che assicurino trasparenza ed efficienza. Il rischio, anche qui, è che la crisi non sia sfruttata per valorizzare il buono, ma per far rivivere il vecchio.
Pubblicato su Libero di martedì 17 marzo
Spetta alle banche stabilire a chi, come e quanto credito concedere. Questo è il succo della loro attività imprenditoriale. Dire che si deve far credito alle persone serie ed alle aziende che cresceranno è cosa tragicamente ovvia, perché quelli sono i clienti che le banche dovrebbero contendersi, fuggendo, invece, da dissipatori e falliti. La vigilanza della Banca d’Italia, serve a spingere verso il rispetto delle regole e dei criteri contabili. Dopo di che, non è certo un ispettore che può dire se dare i soldi a Bianchi e negarli a Rossi.
Fin qui, siamo sullo scolastico. Le cose si complicano quando sono le banche a star male, anche a causa degli errori commessi, rendendo necessaria l’iniezione di soldi pubblici. In questo caso, come prevede la convenzione fra ministero dell’economia e banche, gli aiuti si accompagnano al rispetto di alcune condizioni.
E’ vero che i soldi statali salvano le banche, che non sempre lo meritano, ma a patto che adempiano il loro dovere e facciano affluire credito al mercato. Non si prendono quattrini dalle tasse che gli italiani pagano per rattoppare i buchi nei bilanci di chi dava lezioni e si faceva pagare come fosse un genio della finanza. Inoltre c’è il rischio che il credito sia tolto a chi può restituire i soldi (quindi è sano) e dato a chi ha male amministrato, quindi non può in nessun modo rientrare.
Se si mettono delle condizioni, si deve poi vigilare ed obbligare. Come? I prefetti potranno gestire tavoli di lamentele, segnalare problemi sociali con riflessi sull’ordine pubblico, ma non potranno violare il segreto bancario e non erogheranno sanzioni. Rappresenteranno lo Stato centrale, in tutta la sua minacciosa impotenza. Aprendo le casse pubbliche si sospendono le regole del mercato, ma senza altre che assicurino trasparenza ed efficienza. Il rischio, anche qui, è che la crisi non sia sfruttata per valorizzare il buono, ma per far rivivere il vecchio.
Pubblicato su Libero di martedì 17 marzo
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.