Bipolarismo sotto ricatto
Un federalismo zoppo
L'approvazione della "devolution" al Senato dimostra che questo bipolarismo è ostaggio delle minoranzedi Davide Giacalone - 23 marzo 2005
Gran bagarre, ieri, al Senato, mentre si votavano le riforme costituzionali che vanno sotto il nome di "devolution" (devolution?), ma che, in realtà, intaccano il meccanismo legislativo e parlamentare, oltre al rapporto fra governo e Parlamento.
Pensando più alla televisione che al lavoro d'Aula, i parlamentari del centro sinistra issavano cartelli con su scritto: "Giù le mani dalla Costituzione". Dimenticavano di aggiungere che, nella scorsa legislatura furono proprio loro a modificare il titolo quinto della Costituzione, con maggioranza risicata ed alla fine del mandato. Erano le loro mani quelle che se ne dovevano stare giù.
Detto questo, il testo approvato è, in più di un punto, alquanto bislacco. Consegna un bicameralismo non più perfetto, ma divenuto troppo imperfetto. Un Capo dello Stato che resta irresponsabile, ma è responsabile in solitudine dei suoi atti. Una Costituzione che, nel suo complesso, non è riscritta (come pure si potrebbe), ma revisionata a spizzichi e bocconi, mediante un procedimento che è assai dubbio risponda a quello che pure i costituenti avevano previsto. A tutto questo l'opposizione si mostra contraria, anche vivacemente. In modo più silente è contraria anche parte consistente della maggioranza. Perché, allora, si va avanti?
La ragione è che ci si racconta che il nostro sia un sistema maggioritario, ma, in realtà, sono le minoranze ad avere il potere di condizionamento. Ciascun schieramento è composto da forze diverse ed eterogenee, ciascuna delle quali detiene il potere di far saltare tutto. Alla fine sono gli estremisti ad imporre il loro modo di vedere. Da una parte e dall'altra.
A questa riforma costituzionale la Lega Nord ha subordinato la propria permanenza nella maggioranza, la quale, specie nel corso del lungo ciclo elettorale, non può certo permettersi una defezione. E' da questa condizione, da questo bisogno, che nascono le odierne riforme costituzionali, che, nel loro contenuto, ne risentono pesantemente.
Pensando più alla televisione che al lavoro d'Aula, i parlamentari del centro sinistra issavano cartelli con su scritto: "Giù le mani dalla Costituzione". Dimenticavano di aggiungere che, nella scorsa legislatura furono proprio loro a modificare il titolo quinto della Costituzione, con maggioranza risicata ed alla fine del mandato. Erano le loro mani quelle che se ne dovevano stare giù.
Detto questo, il testo approvato è, in più di un punto, alquanto bislacco. Consegna un bicameralismo non più perfetto, ma divenuto troppo imperfetto. Un Capo dello Stato che resta irresponsabile, ma è responsabile in solitudine dei suoi atti. Una Costituzione che, nel suo complesso, non è riscritta (come pure si potrebbe), ma revisionata a spizzichi e bocconi, mediante un procedimento che è assai dubbio risponda a quello che pure i costituenti avevano previsto. A tutto questo l'opposizione si mostra contraria, anche vivacemente. In modo più silente è contraria anche parte consistente della maggioranza. Perché, allora, si va avanti?
La ragione è che ci si racconta che il nostro sia un sistema maggioritario, ma, in realtà, sono le minoranze ad avere il potere di condizionamento. Ciascun schieramento è composto da forze diverse ed eterogenee, ciascuna delle quali detiene il potere di far saltare tutto. Alla fine sono gli estremisti ad imporre il loro modo di vedere. Da una parte e dall'altra.
A questa riforma costituzionale la Lega Nord ha subordinato la propria permanenza nella maggioranza, la quale, specie nel corso del lungo ciclo elettorale, non può certo permettersi una defezione. E' da questa condizione, da questo bisogno, che nascono le odierne riforme costituzionali, che, nel loro contenuto, ne risentono pesantemente.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.