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Testimonianza dal Salento

Un declino che distrugge il Mezzogiorno

La crisi economica è più forte al Sud. Per uscirne servono coraggio e consenso

di Cosimo Dimastrogiovanni - 27 settembre 2005

Morto un Papa se ne fa un altro. Dimesso un ministro dell’economia se ne fa subito un altro ma il problema, quello di scrivere la finanziaria di un Paese sull’orlo del baratro, resta tutto intero.

Forse questo periodo della storia d’Italia, dove un ministro dell’economia si dimette nell’immediata vigilia di un delicato vertice del Fondo monetario internazionale, un governatore della Banca d’Italia viene sfiduciato dal governo e tuttavia imperterrito rimane in carica e contestualmente il Presidente del Consiglio è ufficialmente sfiduciato da una parte della sua coalizione; dove un’ opposizione (mi riferisco alla sua componente riformista) rinuncia al diritto-dovere di proporre al Paese, in maniera chiara e diretta, un proprio leader dal chiaro profilo riformatore (Enrico Letta, Walter Veltroni) ed è costretta, per giochini tutti interni, ad affidarsi alle cosiddette primarie, dove buona parte dei concorrenti corre soltanto per tentare di strappare, grazie ad un meccanismo elettorale ignobile, qualche collegio in più nella baraonda che si aprirà tra qualche settimana, forse, dicevo, questo periodo sarà ricordato dagli storici come il vero crepuscolo della seconda Repubblica. Se anticipare il ricorso alle urne, sia pure di qualche mese, può servire a rendere più veloce la fine, ben vengano anche le elezioni anticipate.

Il Censis parla di un “Paese con le batterie scariche” che per una ricchezza tutto sommato ancora assai diffusa, per ammortizzatori vari emersi e sommersi ed in generale grazie ad una qualità della vita per i più ancora molto alta, percepisce il declino strutturale soltanto parzialmente ed in maniera soffice. Come dire scivoliamo mollemente, lentamente ma purtroppo inesorabilmente.

In questo primo scorcio di millennio l’economia italiana è cresciuta meno che in tutti i decenni precedenti, accentuando il gap non solo con gli Usa ma anche con i Paesi più industrializzati d’Europa e nello stesso tempo vedendosi erodere il vantaggio sui Paesi emergenti. In questo contesto, le aree più fragili, l’intero mezzogiorno ed il nostro Salento in particolare, pagano un prezzo altissimo. Nel rapporto 2005 la Svimez segnala che nello scorso anno la crescita del Pil nelle regioni del Nord è stata dell’1,4% rispetto allo 0,4% di quelle del Sud, fra quest’ultime la Puglia è stata quella con il tasso di crescita più basso (0,3%). Anche l'occupazione manda segnali di forte difficoltà. Per il secondo anno consecutivo, il Mezzogiorno perde occupati, meno 48mila unità solo nel biennio 2003/04. Allo stesso tempo, un gran numero di disoccupati transitano “verso una condizione di inattività sul mercato del lavoro”, segno evidente di uno scoraggiamento che allontana anche dalla ricerca di un qualsiasi lavoro.

La grave situazione del tessile-abbigliamento-calzaturiero (tac) in provincia di Lecce, tanto per fare un esempio, un tempo vero punto di forza dell’economia salentina, è sotto gli occhi di tutti, con circa la metà delle aziende che hanno chiuso i battenti. La mia impressione è che nonostante i notevoli e lodevoli sforzi di alcuni parlamentari salentini, (Ria e Rotundo soprattutto) ed il tavolo tecnico di recente insediato presso la Camera di Commercio di Lecce, la crisi, soprattutto per chi non ha puntato in tempo su un proprio marchio di qualità, sia irreversibile e fra l’altro occorre stare molto attenti su dove e come destinare le poche risorse disponibili, evitando che diventino la solita misura assistenziale destinata ad esaurirsi nel volgere di pochi mesi, anche perché vi sono settori che se opportunamente incentivati hanno un futuro certo nell’economia globalizzata, mi riferisco ad esempio al dipartimento di nanotecnologie dell’Università di Lecce.

La verità è che per fermare il declino di questo Paese occorrono gesti forti e coraggiosi. Il nostro compito, oggi, è di riflettere sul perché la seconda Repubblica abbia tradito le aspettative che erano sia pure confusamente alla base del crollo forzato della Prima. Si tratta di lavorare per costruire un consenso ampio intorno all’esigenza di ripensare l’intero assetto politico-istituzionale del nostro Paese e di volare alto nella definizione di una nuova stagione politica. Per fare questo è necessario riscrivere le regole del nostro essere cittadini italiani ed europei, attraverso una riforma della carta Costituzionale che sia pienamente condivisa da tutti i soggetti della vita politica e che non può che attuarsi con l’unico passaggio serio e credibile in situazioni come queste, penso all’Assemblea Costituente, come momento alto per recuperare dignità alla politica e dare una risposte nuove ai problemi nuovi che questo tempo ci pone.

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