Un mondo politico che ignora l’abc istituzionale
Un cumulo di errori
E’ ora di finirla con la fiera degli irresponsabili, dove nessuno risponde mai di nulladi Davide Giacalone - 01 marzo 2010
Finirò con il fare un monumento al (non) senatore Nicola Di Girolamo, perché gli errori che si stanno accumulando, discutendo del suo caso, sono così numerosi ed enormi da dovergli essere grati. Se non altro perché dimostra l’insipienza di un mondo politico che insegue la presunta opinione popolare e dimentica, ove mai ne avesse conoscenza, l’abc istituzionale. Badate, non è un caso personale, perché coinvolge l’altro grande guaio: il voto degli italiani all’estero.
Vedo che, adesso, ci si rammarica di avere salvato Di Girolamo dalla prima richiesta d’arresto, mentre, invece, fu giusto votare contro il mandato di cattura. Ma è sbagliato l’intero ragionamento, svolto, purtroppo, ad alta voce, dalla seconda e terza carica dello Stato. Di Girolamo non dovrebbe essere senatore, come scrivemmo subito dopo le elezioni, perché è un imbroglione, come la commissione senatoriale accertò, votando all’unanimità per la sua decadenza: aveva fornito certificati falsi circa la propria residenza e, pertanto, neanche era candidabile.
Sulla base di quel falso la procura di Roma chiese di arrestarlo, cosa che trovo ingiusta ed esagerata, sia per un senatore che per un comune cittadino. Il Senato, però, neanche avrebbe dovuto occuparsene (se non per regolare la legge che riguarda tutti, e non solo i colleghi), perché Di Gregorio avrebbe già dovuto essere fuori dal Parlamento.
Invece, inventarono un trucco. Seguitemi, perché così si capisce la pochezza di quel che dicono oggi: per evitare di farlo decadere utilizzarono l’inchiesta penale e il mandato di cattura a suo carico, sostenendo che era saggio rimandare tutto a dopo il chiarimento giudiziario. Lo chiamarono “garantismo”, ma io, che garantista lo sono sul serio, la chiamo “connivenza”. Oggi, però, si supera il ridicolo: una richiesta d’arresto è buona per rimandare, ma due suggeriscono di accelerare? Sembra uno scherzo. Se fosse stato giusto quel che decisero ieri, a maggior ragione dovrebbero tenere duro oggi, non il contrario. Quindi, c’è un solo modo, dignitoso, per uscirne: non strologando sulle carte d’accusa, così prestandosi ad un giustizialismo ributtante, ma ammettendo di avere sbagliato e votando la decadenza. La decadenza, non l’arresto. Per le cose che si sapevano allora, non per quelle che si apprendono oggi.
Sullo sfondo c’è la legge Tremaglia, che va cancellata. Così è un troiaio. Anche questo lo scrivemmo, subito dopo il voto del 2006. Ma la politica, purtroppo, tiene la contabilità di amici e nemici, non di giusto e sbagliato. Si conservi il voto degli italiani all’estero, ma solo in capo a chi paga le tasse in Italia, solo per candidati presenti nelle liste italiane, e solo andando a votare presso le rappresentanze diplomatiche, che ne rispondono.
Io non so se siano vere le contestazioni mosse a Di Gregorio e ai suoi amici, so che i brogli ci sono stati anche altrove. In Sud America, ad esempio. Che sono stati denunciati, ma che nessuno se n’è occupato. Increscioso. E so che l’idea di un parlamentare dell’Oceania può trovarsi in un film comico, non nelle nostre Aule. Questa scombiccherata legge è stata voluta dal centro destra, il centro destra la smonti. Sento già il lamento: quel diritto al voto serve a mantenere un legame con la madrepatria. Che l’unico legame consista in brogli, intrallazzi e menefreghismo, però, dovrebbe suggerire meno retorica e più realismo.
I partiti, inoltre, la devono finire di considerare i propri candidati come portati dalla cicogna, non rispondendone mai. Se uno lo candidi vuol dire che ti piace. Di Girolamo, poi, era anche vicino a Sergio Di Gregorio, che prima di fondare “Italiani nel mondo” era amico di Antonio Di Pietro (che il cielo ci protegga!). Uno così è l’incarnazione di un errore politico, di cui risponde chi lo candida. E’ ora di finirla con la fiera degli irresponsabili, dove nessuno risponde mai di nulla. E come devono piantarla i partiti, la piantino anche le boccucce fini, sempre pronte a rimproverare la politica quando cancella le preferenze (per piazzare i preferiti), ma poi vengono colte dall’orrore quando si disvelano gli effetti dei pochi voti basati sulle preferenze.
A me piacciono i collegi uninominali, ma se, invece, si vogliono le preferenze, si sappia che serviranno anche a dar voce al Paese reale, che è fatto pure di arrampicatori e traffichini, così come di tante alate coscienze che, smentendo le leggi della probabilità, non ne azzeccano una, neanche per sbaglio.
Pubblicato da Libero
Vedo che, adesso, ci si rammarica di avere salvato Di Girolamo dalla prima richiesta d’arresto, mentre, invece, fu giusto votare contro il mandato di cattura. Ma è sbagliato l’intero ragionamento, svolto, purtroppo, ad alta voce, dalla seconda e terza carica dello Stato. Di Girolamo non dovrebbe essere senatore, come scrivemmo subito dopo le elezioni, perché è un imbroglione, come la commissione senatoriale accertò, votando all’unanimità per la sua decadenza: aveva fornito certificati falsi circa la propria residenza e, pertanto, neanche era candidabile.
Sulla base di quel falso la procura di Roma chiese di arrestarlo, cosa che trovo ingiusta ed esagerata, sia per un senatore che per un comune cittadino. Il Senato, però, neanche avrebbe dovuto occuparsene (se non per regolare la legge che riguarda tutti, e non solo i colleghi), perché Di Gregorio avrebbe già dovuto essere fuori dal Parlamento.
Invece, inventarono un trucco. Seguitemi, perché così si capisce la pochezza di quel che dicono oggi: per evitare di farlo decadere utilizzarono l’inchiesta penale e il mandato di cattura a suo carico, sostenendo che era saggio rimandare tutto a dopo il chiarimento giudiziario. Lo chiamarono “garantismo”, ma io, che garantista lo sono sul serio, la chiamo “connivenza”. Oggi, però, si supera il ridicolo: una richiesta d’arresto è buona per rimandare, ma due suggeriscono di accelerare? Sembra uno scherzo. Se fosse stato giusto quel che decisero ieri, a maggior ragione dovrebbero tenere duro oggi, non il contrario. Quindi, c’è un solo modo, dignitoso, per uscirne: non strologando sulle carte d’accusa, così prestandosi ad un giustizialismo ributtante, ma ammettendo di avere sbagliato e votando la decadenza. La decadenza, non l’arresto. Per le cose che si sapevano allora, non per quelle che si apprendono oggi.
Sullo sfondo c’è la legge Tremaglia, che va cancellata. Così è un troiaio. Anche questo lo scrivemmo, subito dopo il voto del 2006. Ma la politica, purtroppo, tiene la contabilità di amici e nemici, non di giusto e sbagliato. Si conservi il voto degli italiani all’estero, ma solo in capo a chi paga le tasse in Italia, solo per candidati presenti nelle liste italiane, e solo andando a votare presso le rappresentanze diplomatiche, che ne rispondono.
Io non so se siano vere le contestazioni mosse a Di Gregorio e ai suoi amici, so che i brogli ci sono stati anche altrove. In Sud America, ad esempio. Che sono stati denunciati, ma che nessuno se n’è occupato. Increscioso. E so che l’idea di un parlamentare dell’Oceania può trovarsi in un film comico, non nelle nostre Aule. Questa scombiccherata legge è stata voluta dal centro destra, il centro destra la smonti. Sento già il lamento: quel diritto al voto serve a mantenere un legame con la madrepatria. Che l’unico legame consista in brogli, intrallazzi e menefreghismo, però, dovrebbe suggerire meno retorica e più realismo.
I partiti, inoltre, la devono finire di considerare i propri candidati come portati dalla cicogna, non rispondendone mai. Se uno lo candidi vuol dire che ti piace. Di Girolamo, poi, era anche vicino a Sergio Di Gregorio, che prima di fondare “Italiani nel mondo” era amico di Antonio Di Pietro (che il cielo ci protegga!). Uno così è l’incarnazione di un errore politico, di cui risponde chi lo candida. E’ ora di finirla con la fiera degli irresponsabili, dove nessuno risponde mai di nulla. E come devono piantarla i partiti, la piantino anche le boccucce fini, sempre pronte a rimproverare la politica quando cancella le preferenze (per piazzare i preferiti), ma poi vengono colte dall’orrore quando si disvelano gli effetti dei pochi voti basati sulle preferenze.
A me piacciono i collegi uninominali, ma se, invece, si vogliono le preferenze, si sappia che serviranno anche a dar voce al Paese reale, che è fatto pure di arrampicatori e traffichini, così come di tante alate coscienze che, smentendo le leggi della probabilità, non ne azzeccano una, neanche per sbaglio.
Pubblicato da Libero
L'EDITORIALE
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