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Public Policy

La Cisl si arrocca su vecchi privilegi

Un appello a Bonanni

Pensioni, Alitalia, pubblico impiego. Manca un punto di riferimento nel mondo sindacale

di Enrico Cisnetto - 12 gennaio 2007

“Statali, la Cisl frena sulla mobilità”. “Bonanni: sulle pensioni non serve una riforma”. “Sciopero Alitalia, è duello tra Cisl e Uil. Angeletti: è controproducente. Bonanni: servirà”. Questo è solo un piccolo estratto della rassegna stampa più recente che riguarda la Cisl. Sì, avete letto bene: non si tratta della Cgil, ma della Cisl. Io, francamente, trasecolo. Ma come, la Cisl non era il sindacato della modernità, la confederazione riformista che si distingueva dalla Cgil tutta politica (contro i governi di centro-destra, pro quelli di centro-sinistra) e dalla Uil considerata un po’ corporativa? Caro Raffaele Bonanni, amico mio, dove è finita la Cisl che nel 1997 sosteneva il pacchetto Treu del primo governo Prodi contro la sinistra massimalista e che nel 2002 firmava il Patto per l’Italia proposto dal governo Berlusconi pur avendo il fiato sul collo del Cofferati che definiva “limaccioso” il libro bianco sul mercato del lavoro di Marco Biagi? Credimi, non si tratta di nostalgia per Savino Pezzotta, anche se conosci la stima che ho avuto e continuo ad avere per lui. No, qui si tratta della mancanza di un punto di riferimento nel mondo sindacale che possa far sperare a chi, come me, teme che il declino si trasformi in declassamento, di poter rimettere in piedi questo benedetto Paese. A cui servono parti sociali capaci di assumersi le responsabilità cui la classe politica ogni giorno di più tende a sfuggire. Sì, lo so quello che stai per rispondermi: “mica mi posso far scavalcare da Epifani, che gioca a fare il moderato perchè ha un governo amico che gli permette persino di scrivere la legge Finanziaria a quattro mani con il ministro dell’Economia”. Per carità, capisco che ci siano in gioco iscritti e rappresentanze, e che per la Cisl era più “comodo” avere Berlusconi che Prodi a palazzo Chigi. Tutto ciò non mi sfugge. Ma anche questo tipo di giustificazione ha un limite, ed è quello della natura della Cisl e degli interessi generali del Paese.

Per anni siete stati quelli che dicevano: sulle pensioni non abbiamo tabù, capiamo bene che se l’età media e le aspettative di vita si allungano, bisogna intervenire – e non solo per ragioni di bilancio, anzi prima di tutto per le naturali modifiche della strutturale sociale – sull’età pensionabile. E ora, di fronte ad un governo spaccato tra i riformisti che vogliono eliminare lo “scalone Maroni” (giustamente) facendo fare alla vecchia Dini un deciso passo avanti e i massimalisti che vogliono azzerare la “riforma differita” di Berlusconi per poi non toccare più nulla, tu cosa fai, ti schieri con i conservatori della sinistra-sinistra? Ti metti a fare “l’altrista”, dicendo prima dateci lo sviluppo e poi vedremo se sarà il caso di aprire il dossier della previdenza? Quando invece la Cisl potrebbe mettersi alla testa del movimento per il doppio cambiamento: sì all’aumento dell’età pensionabile, sì alla parificazione uomo-donna, sì al mix di incentivi e disincentivi, ma sì pure ad un significativo aumento delle pensioni, e non solo quelle minime.

Anche la questione dell’Alitalia è significativa: non si può scioperare al cospetto di un’azienda che sta fallendo, e che se fallisce è anche (non solo, ma anche) per l’insopportabile pressione sindacale che ha subito a fronte di una rigidità nell’organizzazione del lavoro che non ha eguali e una produttività tra le più basse. Per quanti motivi di protesta ci possano essere, qui ha ragione da vendere Angeletti: “lo sciopero finisce per dimostrare che il problema dell’Alitalia sono i sindacati”. Perchè la Cisl, proprio partendo da un caso macroscopico come quello dell’Alitalia, non sceglie di svolgere il ruolo di promotore di un sindacato moderno e responsabile che – come è accaduto in Germania con evidenti successi – aiuta le controparti a rilanciare le imprese sanabili, a chiudere quelle bacate, a far crescere quelle piccole e medie, a gestire le delicate operazioni crossborder delle più grandi? E se per far questo occorre ritirar fuori e rilanciare la proposta della cogestione, fatelo, anche perchè il modello dualistico di governance delle aziende che si sta introducendo in Italia, inaugurato da San Paolo-Intesa, vi aiuta ad aprire questo fronte.

Ma la cosa che più mi brucia, caro Bonanni, è che ti sei fatto “scavalcare a destra” (si fa per dire) da Epifani sulla questione degli statali. Anche qui, io capisco che per la Cisl trattasi della sua storica riserva indiana. Ma questo non significa chiudere gli occhi di fronte all’evidenza. La quale ci dice che nel pubblico impiego non vige la meritocrazia, non si pratica la mobilità (non dico territoriale, ma neppure quella settoriale) e si tollera un eccesso di “fannulloneria” (secondo l’efficace denuncia di Pietro Ichino). Tutte cose che tengono la produttività del settore pubblico – e quella degli enti locali ancor più di quella centrale – a livelli inaccettabilmente bassi. Ora, io non se e in quale misura i provvedimenti studiati dal ministro Nicolais – cui va comunque il merito storico di aver studiato una vera riforma e di impegnarsi sul serio nel tentativo di farla approvare – saranno fatti propri dal governo Prodi. Temo, anzi, che nel migliore dei casi ci sia il solito annacquamento. Ma certo fa specie vedere che Nicolais abbia trovato in Epifani una sponda, mentre la Cisl è arroccata intorno a vecchi meccanismi e indifendibili privilegi.

Insomma, amici riformisti della Cisl, se ci siete battete un colpo.

Pubblicato sul Foglio del 12 gennaio 2007

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