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Urge definire un nuovo patto sociale

Un anno trascorso senza risultati

Anche sul fronte delle relazioni industriali il declino non cede il passo alla modernizzazione

di Enrico Cisnetto - 30 maggio 2005

Siamo all’anno zero. La chiusura oltremodo tribolata del contratto del pubblico impiego – con lo strascico del conflitto tra Cgil e Cisl e la speranza di un rinnovo del modello contrattuale auspicato un po’ tardivamente dal governo – e la durezza delle posizioni di Federmeccanica e Fiom, che non fa presagire nulla di buono per la vertenza dei metalmeccanici, con sullo sfondo la fine dell’idillio sbocciato un anno fa tra la Confindustria e i sindacati, sancita da Montezemolo in assemblea quando ha parlato di “un anno trascorso senza risultati” e dal duo Epifani-Cremaschi bocciando senza riserve la relazione del presidente degli industriali, ebbene tutto questo lascia assai dubbi circa il fatto che neppure sul fronte delle relazioni industriali il declino italiano stia lasciando il passo alla modernizzazione. Eppure il recupero del dialogo sociale, dopo le inutili rotture del passato, qualche squarcio di speranza l’aveva pur aperto.

Esattamente un anno fa, proprio da queste colonne, salutavo con piacere il ritorno alla cordialità tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil, auspicando che la fine delle ostilità incrociate fosse madre di qualche decisione corale, utile per far uscire l’Italia dal declino. Invece, le cose sono andate diversamente. E lo si era capito quasi subito: il veto della Cgil alla modifica dei modelli contrattuali, imposto dall’ala oltranzista guidata dalla Fiom, mentre Cisl e Uil avevano già trovato l’intesa con Montezemolo e Bombassei, era di quelli difficili da rimuovere. Salvo prendere il toro per le corna, e fare intese separate. Ma, scottati da un governo che li aveva spinti su quella strada con il Patto per l’Italia, per poi lasciarli con il cerino acceso in mano, Pezzotta e Angeletti non se la sono sentita di rompere ancora una volta con Epifani. Così la cosa si è avviata su un binario morto, né la Confindustria ha avuto la forza (o la voglia) di spingere più di tanto. D’altra parte, il rilancio della concertazione, dopo i quattro anni di guerra permanente di D’Amato, avrebbe avuto un senso solo se la Confindustria fosse stata in grado di offrire ai sindacati un dialogo maschio e leale, non una mediazione insipida. Ma, a parte un documento comune per il rilancio del Mezzogiorno, questa collaborazione non è mai decollata. Anzi, il dialogo tra le parti sociali si è annacquato in un’operazione mediatica, alla fine buona solo per la cocciuta Cgil.

Invece, oggi come e più di allora, urge definire un nuovo patto sociale per riemergere dalla recessione. Vero è che al tavolo finora è clamorosamente mancata la terza gamba, quella della mediazione politica. Ma ci si può aspettare un aiuto da un sistema bipolare geneticamente deforme e perennemente in campagna elettorale? No, governo e opposizione hanno più volte dimostrato l’incapacità di elaborare e condividere con le parti sociali un programma di sviluppo per il Paese. Che fare, allora? Intanto, imprenditori e sindacati facciano tutto ciò che bilateralmente è possibile. Dunque, via sia i guantoni da boxe che i guanti bianchi, e mano all’acqua per spegnere, insieme, l’incendio. Sapendo che se al tavolo della concertazione la “terza gamba” traballa o addirittura manca, anche alle parti sociali è permesso occuparsi della crisi del sistema politico. Senza paura.

Pubblicato sul Messaggero del 29 maggio 2005

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