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Prendiamo esempio dalla Gemania

Tutto fa recessione

In Italia è ora di lasciare il sistema industriale alla sua selezione darwiniana

di Enrico Cisnetto - 14 luglio 2008

L’ennesimo crollo della produzione industriale. L’onda anomala degli esuberi in arrivo, circa diecimila solo tra Telecom Italia e Alitalia, che inducono malinconicamente a parlare di “capitalismo esuberante”. Il brusco rallentamento della Fiat, che si prepara a chiedere la cassa integrazione per gli impianti di Melfi, Termoli e Cassino, contribuendo così a far lanciare dalla Cgil un vero allarme sulle richieste di cassa integrazione (300.000 entro fine anno). La nuova ondata di “saldi” di aziende italiane che, nonostante le dimensioni “tascabili”, avevano un ruolo almeno simbolico nel mondo del made in Italy (il 40% di Technogym agli inglesi di Candover, lo storico marchio motociclistico Mv Agusta agli americani di Harley Davidson). E, come se non bastasse, ad alimentare un quadro decisamente ansiogeno arrivano persino brutte notizie di cronaca, come le manette a Matteo Cambi, “guru” della moda casual, e ad Angelo Mastrolia, coinvolto nell’inchiesta “mani in pasta” subito dopo aver rilevato la Buitoni.

Insomma, che si usi la lente d’ingrandimento della microeconomia o che si osservino le cose con il binocolo macroeconomico, tutto fa recessione. Potrebbe sembrare superfluo dirlo, visto che da mesi si parla di “crescita zero”, ma invece è necessario perchè sia chiaro un altro elemento di diagnosi: il turnaround dell’industria italiana è ben lontano dall’essere terminato. Basta nascondersi dietro la retorica della “casta”, secondo cui tutto ciò che non funziona è pubblico (burocrazia, fannulloni, eccetera), mentre il privato è virtuoso per definizione. C’è una “casta” che ha procurato al Paese altrettanti danni, ed è quella degli “imprenditori conservatori”, che non hanno accettato la sfida della globalizzazione preferendo abbarbicarsi a produzioni marginali che oggi non riescono più a stare sui mercati, e degli “imprenditori parassiti”, cioè quelli che, specie nel settore dei servizi, si sono garantiti comode (e spesso ricche) rendite di posizione. Se poi a tutto questo si aggiunge che per 20 anni si è pensato di poter fare a meno della politica industriale, ecco spiegata la totale assenza del “sistema Italia”.

Ora si vorrebbe rimediare, magari con una legge Marzano bis, che pure trova difficoltà (An e vertici Alitalia contrari) prima ancora di nascere. Diciamocela tutta: se si tratta di una norma ad hoc per la compagnia di bandiera, ben venga, Alitalia (con AirOne) è troppo strategica per non meritare strappi alla regola. Ma se invece deve servire a salvataggi diffusi nel manifatturiero in crisi, per di più con il solo obiettivo occupazionale, non è affatto auspicabile. Lo dico a malincuore, senza alcuna pulsione liberista, ma da tempo è arrivata l’ora di lasciare il sistema industriale alla sua selezione darwiniana. Solo così si porterà a termine il cambiamento di un tessuto imprenditoriale che non ha mai fatto i conti fino in fondo con se stesso.

Prendiamo esempio dalla Germania: ha pagato un prezzo altissimo con i suoi 5 milioni di disoccupati del dopo-riunificazione, ma una volta delocalizzati a Est tutti i comparti meno innovativi e investito sulle grandi imprese e nei settori a tecnologia avanzata, ecco che la disoccupazione è stata riassorbita e che il cambiamento strutturale della sua economia l’ha resa nuovamente la locomotiva d’Europa. Importare il “modello tedesco” in Italia vuol dire anche questo.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.