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Sotto i 200 punti

Tutti i numeri dello spread

Dal debito pubblico alla deflazione, passando per il risparmio sugli interessi. Lo spread va giù, ma guai a festeggiare troppo

di Enrico Cisnetto - 05 gennaio 2014

Il debito pubblico della Germania è di 2.024 miliardi, quello dell’Italia di 2.085 miliardi. Una differenza del 3%, minuscola. Peccato, però, che il debito tedesco sia l’80% del pil, che ammonta a 2.530 miliardi, mezzo punto percentuale in più rispetto al 2012. Mentre quello italiano sta oltre il 130%, del pil (che fatica a superare i 1.600 miliardi essendo diminuito nel 2013 dell’1,8%). In questo caso la differenza è abissale: più del 62%. Che diventa ancor più macroscopica se si considera che nei sei anni della grande crisi (2008-2013) la ricchezza della Germania è complessivamente aumentata di quattro punti e mezzo, mentre quella dell’Italia è scesa dell’8,8%.

Inoltre, sul debito è opposta la tendenza: il loro indebitamento si riduce – in un anno dell’1,9%, pari a circa 40 miliardi – mentre il nostro sale, visto che rispetto a un anno fa è aumentato di 95 miliardi (+4,7%). Solo l’inflazione sembra andar meglio: 1,2% Italia, 1,6% Germania. Ma è apparenza, perché in questa fase congiunturale il problema numero uno è la deflazione (crescita bassa o negativa accompagnata da forte contenimento dei prezzi per effetto della contrazione dei consumi), e essere oggi noi con a meno della metà del 3% di 12 mesi fa, non è affatto un vantaggio.

Vi bastano questi dati per poter analizzare al meglio i 200 punti (pardon, 197) che separano il rendimento dei Bund decennali tedeschi da quello degli analoghi Btp italiani? Forse sono un po’ più utili delle chiacchiere che si sono sentite fare in queste ore: da quella che lo spread è una truffa – ma come, lo è allo stesso modo quando arriva a 550 punti e quando scende a meno della metà? – a quella che è tutto merito del governo e della stabilità che assicura (qui basterebbe notare che è la Spagna a potersi fregiare di questo titolo, visto che pur avendo problemi strutturali più gravi dei nostri, gode di un differenziale più basso).

La verità è che lo spread batte in ritirata da mesi, per effetto sia della enorme liquidità messa in circolo nel mondo dalle politiche monetarie espansive (in particolare americana e giapponese) – 1.500 miliardi di dollari solo nel 2013 – sia del rialzo dei rendimenti dei titoli pubblici tedeschi, che sono usciti dall’area del “quasi zero”, che andava bene quando la liquidità era scarsa e gli investitori cercavano prima di tutto la sicurezza, per arrivare al 2% (contro il 4% dei titoli italiani, fa esattamente 200 punti di differenziale).

Naturalmente, questo non vuol dire che non ci siano positivi risvolti da questo calo dello spread. Dai 2,7 miliardi di interessi risparmiati, alle maggiori possibilità di rispettare i vincoli europei senza dover mettere mano ad una manovra correttiva (le stime per il 2014 formulate dal governo si basano su una crescita del pil dell’1,1%, mentre tutte le previsioni non vanno oltre lo 0,5%). Ma anche qui occorre dire le cose come stanno: arrivando a detenere 790 miliardi di titoli del Tesoro su un ammontare complessivo di 1.740, le banche fanno la parte del leone nel sostenere il debito pubblico.

Domanda: fino a che punto potranno farlo, tanto più se i rendimenti calano? E se invece dovessero tenere questo ritmo, ciò andrebbe ancora a scapito dei finanziamenti alle imprese e alle famiglie, con tutto quello che ne consegue per l’economia reale? Insomma, consiglio da amico: festeggiare il calo dello spread con moderazione. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.