Telecom, gli stranieri e il ruolo delle banche
Tutti gli uomini del declino
Da Profumo a D’Amato, l’establishment ha le sue responsabilità nella crisi di sistemadi Enrico Cisnetto - 13 aprile 2007
Comunque vada a finire, il “caso Telecom” è ormai chiuso. Al suo posto si è aperto – o, se si vuole, si è riaperto per l’ennesima volta – un altro “caso”, quello del sistema bancario italiano. E’ del tutto evidente, infatti, che di fronte all’ipotesi di una risposta di “sistema” all’ingresso di stranieri, per di più americani, nel capitale di controllo della Telecom, il nostro capitalismo “simil renano” si è sciolto come neve al sole. Per la verità, il fallimento del ruolo sistemico delle banche italiane si era già palesato prima che Tronchetti trovasse i compratori tex-mex, quando i banchieri hanno avuto mesi per fare un’offerta e portarsi a casa Olimpia.
Allora si è detto che era una questione di prezzo, ma non è così. O meglio, quello della differenza di una manciata di centesimi ad azione è stata la motivazione ufficiale, in realtà il vero problema è stata la totale contrapposizione che si è verificata nel sistema bancario, diviso non solo lungo l’asse – assurdo, a pensarci bene – tra prodiani e anti-prodiani, ma anche per ragioni di rivalsa personale (Profumo-Passera), per questioni interne (Geronzi-Arpe) e per motivi di fragilità manageriale (Mediobanca). Problematiche, queste, che anche ora che la politica chiama in modo bipartisan ad una reazione “nazionale” – al di là delle chiacchiere in salsa liberista, anche Berlusconi è allineato con Prodi sulla “soluzione italiana” – sembrano essere più forti di qualsiasi altra ragione.
Ora, che Enrico Cuccia non abbia lasciato eredi, e che comunque anche per uno come lui sarebbe dura, è ormai chiaro da tempo. Lo è stato, chiaro, per quello che è successo dentro Mediobanca, quando uno con gli stessi difetti di Cuccia senza averne i pregi come Maranghi ha cocciutamente creduto possibile perpetuare il potere assoluto del fondatore, senza capire che il cruccio del banchiere siciliano era stato proprio quello di aver dovuto assistere alla fine di un’epoca. Lo è stato quando il governatore Fazio, disgraziatamente, ha fatto camminare idee buone su gambe sbagliate. E lo è oggi, in uno scenario in cui i due mali strutturali del Paese – il sistema politico bipolare spaccato a metà lungo l’asse di un’antistorica divisione ideologica, e la “dittatura della mediocrità” che impone una classe dirigente di infimo ordine – hanno finito col contagiare anche il sistema bancario. O meglio, quello che una volta era un “sistema” e oggi altro non è che un ircocervo, né anglosassone attore del mercato né renano padrone soft del capitalismo, ma italico snodo di poteri economico-politici in guerra fra loro.
Così, in questa situazione, senza il mercato e la sua cultura e senza regia di sistema, il “caso Telecom” ha finito col fare da detonatore di una crisi del capitalismo italiano che travolge tutto e tutti e da cui nessuno può legittimamente chiamarsi fuori. Non lo possono fare banchieri saggi come Bazoli e Geronzi – gli unici che, tenendo saldo il filo del dialogo tra loro, hanno tentato una risposta di “sistema”, finora senza riuscirci – i cui richiami al “capitalismo temperato” e all’interesse generale sono caduti nel vuoto, a cominciare dall’interno dei loro gruppi. Non lo può fare la prima banca del Paese, Intesa-Sanpaolo, che da quando è divenuta tale, e per di più in un contesto politico favorevole, confonde se stessa con l’intero sistema economico. Né chi ha scelto la giusta strada dell’internazionalizzazione – ma per certi versi “comoda”, perchè deresponsabilizzante sul piano interno – come l’Unicredito di Profumo. Né, tantomeno, chi, come il Paschi, in questi anni ha continuato a preferire un miope isolamento territoriale al mettersi in gioco. Né, di sicuro, può sottrarsi alla responsabilità del declino nazionale quello che resta della gloriosa Mediobanca, dove stride il contrasto tra un’azionariato di sistema e un gruppo di dirigenti che – forti di stipendi e stock option che in poco tempo assommano a quanto Cuccia percepì durante la sua intera vita – “giocano” a quello che potremmo chiamare “Wall Street dei poveri”. Né, naturalmente, sono esenti da queste responsabilità gli imprenditori, specie quelli che, a buono o cattivo titolo, hanno avuto e hanno responsabilità sistemiche.
Quelli che hanno da sempre il posto fisso nell’establishment, incapaci di contenerne il disfacimento. Quelli che hanno fatto a gomitate per entrarci, e magari hanno creato il debito Telecom e ora vorrebbero tornare sul luogo del delitto. E quelli che, come Antonio D’Amato, hanno avuto l’occasione storica di modernizzare il sistema, e l’hanno buttata via. Ve lo dice un difensore dell’italianità: degli stranieri non possiamo più fare a meno. Salvo che....
Pubblicato su Il Foglio di venerdi 13 aprile
Allora si è detto che era una questione di prezzo, ma non è così. O meglio, quello della differenza di una manciata di centesimi ad azione è stata la motivazione ufficiale, in realtà il vero problema è stata la totale contrapposizione che si è verificata nel sistema bancario, diviso non solo lungo l’asse – assurdo, a pensarci bene – tra prodiani e anti-prodiani, ma anche per ragioni di rivalsa personale (Profumo-Passera), per questioni interne (Geronzi-Arpe) e per motivi di fragilità manageriale (Mediobanca). Problematiche, queste, che anche ora che la politica chiama in modo bipartisan ad una reazione “nazionale” – al di là delle chiacchiere in salsa liberista, anche Berlusconi è allineato con Prodi sulla “soluzione italiana” – sembrano essere più forti di qualsiasi altra ragione.
Ora, che Enrico Cuccia non abbia lasciato eredi, e che comunque anche per uno come lui sarebbe dura, è ormai chiaro da tempo. Lo è stato, chiaro, per quello che è successo dentro Mediobanca, quando uno con gli stessi difetti di Cuccia senza averne i pregi come Maranghi ha cocciutamente creduto possibile perpetuare il potere assoluto del fondatore, senza capire che il cruccio del banchiere siciliano era stato proprio quello di aver dovuto assistere alla fine di un’epoca. Lo è stato quando il governatore Fazio, disgraziatamente, ha fatto camminare idee buone su gambe sbagliate. E lo è oggi, in uno scenario in cui i due mali strutturali del Paese – il sistema politico bipolare spaccato a metà lungo l’asse di un’antistorica divisione ideologica, e la “dittatura della mediocrità” che impone una classe dirigente di infimo ordine – hanno finito col contagiare anche il sistema bancario. O meglio, quello che una volta era un “sistema” e oggi altro non è che un ircocervo, né anglosassone attore del mercato né renano padrone soft del capitalismo, ma italico snodo di poteri economico-politici in guerra fra loro.
Così, in questa situazione, senza il mercato e la sua cultura e senza regia di sistema, il “caso Telecom” ha finito col fare da detonatore di una crisi del capitalismo italiano che travolge tutto e tutti e da cui nessuno può legittimamente chiamarsi fuori. Non lo possono fare banchieri saggi come Bazoli e Geronzi – gli unici che, tenendo saldo il filo del dialogo tra loro, hanno tentato una risposta di “sistema”, finora senza riuscirci – i cui richiami al “capitalismo temperato” e all’interesse generale sono caduti nel vuoto, a cominciare dall’interno dei loro gruppi. Non lo può fare la prima banca del Paese, Intesa-Sanpaolo, che da quando è divenuta tale, e per di più in un contesto politico favorevole, confonde se stessa con l’intero sistema economico. Né chi ha scelto la giusta strada dell’internazionalizzazione – ma per certi versi “comoda”, perchè deresponsabilizzante sul piano interno – come l’Unicredito di Profumo. Né, tantomeno, chi, come il Paschi, in questi anni ha continuato a preferire un miope isolamento territoriale al mettersi in gioco. Né, di sicuro, può sottrarsi alla responsabilità del declino nazionale quello che resta della gloriosa Mediobanca, dove stride il contrasto tra un’azionariato di sistema e un gruppo di dirigenti che – forti di stipendi e stock option che in poco tempo assommano a quanto Cuccia percepì durante la sua intera vita – “giocano” a quello che potremmo chiamare “Wall Street dei poveri”. Né, naturalmente, sono esenti da queste responsabilità gli imprenditori, specie quelli che, a buono o cattivo titolo, hanno avuto e hanno responsabilità sistemiche.
Quelli che hanno da sempre il posto fisso nell’establishment, incapaci di contenerne il disfacimento. Quelli che hanno fatto a gomitate per entrarci, e magari hanno creato il debito Telecom e ora vorrebbero tornare sul luogo del delitto. E quelli che, come Antonio D’Amato, hanno avuto l’occasione storica di modernizzare il sistema, e l’hanno buttata via. Ve lo dice un difensore dell’italianità: degli stranieri non possiamo più fare a meno. Salvo che....
Pubblicato su Il Foglio di venerdi 13 aprile
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.