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Public Policy

Lo sviluppo bipolare della geopolitica

Tutti europei ma nessuna Europa

Un'Europa incapace di scegliere veramente tra integrazione e chiusura

di Flaminia Festuccia - 14 maggio 2009

Che il G20 sia diventato, nei fatti, un G2, con l’emergere dell’asse Usa-Cina, non è un mistero. Come non è un mistero che il G2 non si sia potuto trasformare in G3. Nonostante la volontà e l’esigenza di Cina e Stati Uniti di dialogare con un interlocutore forte nel Vecchio Continente, l’Unione Europea non ha saputo – e non solo a Londra – esprimere una voce unica. Scrive Stanley Crossick, analista politico e fondatore del think tank “European Policy Centre”: «L’Economist ha detto che gli Europei sono preoccupati dallo sviluppo bipolare della geopolitica. Ma chi sarebbero questi “Europei”?». Su 20 leader presenti, 5 erano del Vecchio Continente (Francia, Germania, Gran Bretagna e Ue), ma il risultato totale, quanto a capacità di offrire un valido interlocutore al duo “Chimerica”, è stato decisamente inferiore alla somma delle parti.

Questo decennio, che si è aperto con il progetto ambizioso di una Costituzione Europea e si chiude, più mestamente, con il Trattato di Lisbona ancora bloccato dal no dell’Irlanda, ha portato con sé la grande sfida di una crisi economica mondiale che, nonostante cauti segnali di ripresa, sembra ben lontana dal vedere una fine. Alla vigilia della prima consultazione di un’Europa di 27 stati, una “mentalità europea” stenta ancora ad affermarsi, tra i cittadini come nei governi. Non si vuole accettare l’inadeguatezza della dimensione nazionale, la fine dell’era dei particolarismi. E la crisi ci ha messo del suo, facendo riemergere vene protezionistiche nella politica economica degli stati e nella psicologia degli stessi lavoratori.

La vicenda Opel-Fiat è diventata emblematica del futuro dell"Unione. Le riserve del governo tedesco sulla possibile acquisizione da parte della Fiat potrebbero influenzarne le scelte, a pochi mesi dalle elezioni politiche, facendo pendere l"ago della bilancia dal lato di un protezionismo miope che accontenterebbe forse gli elettori, preoccupati da recessione e disoccupazione, ma dimostrerebbe una ben scarsa lungimiranza. Mostrando ancora una volta un"Europa incapace di scegliere veramente tra integrazione e chiusura, tra nazionalismo e federalismo. Un altro sintomo dell’incapacità di superare il dualismo tra stato e mercato – pensiamo al caso Alitalia – che impedisce la realizzazione piena e completa della libertà di circolazione e d’impresa, tra i principi fondamentali del Trattato di Roma.

L’operato poco incisivo della Commissione, rimasta a guardia dei parametri – datati – di Maastricht, non ha contribuito a creare una fiducia nelle risorse dell"Unione. La risposta europea alla crisi è stata debole e frammentaria. Mentre gli Stati Uniti hanno messo in campo aiuti per il 12% del pil, secondo le stime dell"economista francese Nicolas Baverez i pacchetti di stimolo europei toccano a malapena l’1,5%. Il problema del riconoscimento è, quindi, all’interno. Continuiamo a distinguere un “interesse nazionale”, quando invece il futuro, per non scomparire dagli scenari mondiali, dovrebbe portare a una piena realizzazione degli Stati Uniti d’Europa. Ma senza andare troppo oltre, basterebbe forse soltanto la piena applicazione di quanto previsto dai trattati, e lo snellimento di alcune procedure (come l’unanimità richiesta per un gran numero di decisioni), per far sì che l"Europa possa iniziare a lavorare senza troppi vincoli.

Quello che manca, anche, è un sentimento di cittadinanza europeo che faccia partire dalla base la spinta per una vera integrazione economica. Non aiutano le liste che i nostri partiti hanno proposto per le prossime elezioni, scelte poco chiare, sicuramente oscure a chi andrà a votare, che tutto tutelano tranne gli interessi italiani in sede comunitaria, come fa notare Romano Prodi dalle pagine del Messaggero del 10 maggio.

Chiamando anche ad un esercizio di umiltà (o, sarebbe meglio dire, di realismo): uno sguardo al mappamondo, con la constatazione delle nostre dimensioni, e uno alla storia del Risorgimento. La consapevolezza che rimanendo isolati si esce dalla storia. E non bastano i grandi summit mondiali per progettare delle effettive risposte alla globalizzazione, ai problemi politici, economici e sociali che interessano vaste aree del pianeta.

Lo dimostra il G20 di Londra, concluso da poche settimane, che oltre ad aver mostrato il nuovo asse Cina-Usa, ben poco ha saputo fare sul piano di proposte concrete, limitandosi a constatare che la finanza mondiale va messa sotto controllo e che bisogna prendere provvedimenti per arginare la crisi. Alle spalle di queste grandi riunioni, per renderle davvero operative, servono coalizioni forti, e l"Europa non ha saputo giocare le sue carte proponendosi come terza sponda di un possibile G3.
Considerata come un qualcosa di unico l’Ue è al primo posto nel mondo per pil ed esportazioni. Ma rimane spettatrice dei grandi giochi a causa del timore dei singoli stati di perdere un presunto prestigio nazionale.

A un mese dalle europee ci ritroviamo così, tutti europei ma nessuna Europa, incapaci di capire come e se il nostro voto potrà fare la differenza. Tutti parte di un gigante con le mani legate, che finché rimarrà ancorato alle vecchie regole, ai particolarismi, non potrà mai esprimere il suo vero, enorme potenziale.

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