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Verso le elezioni europee

Tutte le sciocchezze dei NO euro

Cari eurodisfattisti, rassegnatevi: non è vero che si stava meglio quando si stava peggio

di Enrico Cisnetto - 07 aprile 2014

Ormai è chiaro, la campagna elettorale per le europee sarà monopolizzata dagli anti-euro, che così impediranno ai pro-Ue di far emergere le diverse posizioni, tra chi punta agli Stati Uniti d’Europa, come i liberaldemocratici, e chi, come socialisti e popolari, gioca dentro il perimetro stretto della sola unione monetaria. Sgombriamo perciò il campo da alcune sciocchezze che circolano sull’opportunità di uscire dall’euro, in modo da avere poi tempo per parlare di cose più serie.

Uscire dall’euro (non) si può. L’art. 50 del Trattato di Lisbona prevede la possibilità di recedere dalla Comunità europea, ma non di abbandonare la moneta unica. Uscire dall’euro unilateralmente provocherebbe, quindi, la fine della libera circolazione delle persone, dei beni, dei capitali, dei servizi. Con conseguenti dazi doganali, restrizioni per il movimento dei cittadino che volesse spostarsi nel Continente. Senza contare che la rescissione aprirebbe un infinito e costosissimo contenzioso legale. Si dice: stiamo nella Ue e usciamo dall’euro, eventualità che non è espressamente esclusa dai Trattati. A parte il fatto che l’articolo 3.4 del TUE lega euro ed Unione in maniera definitiva, ma in tutti i casi per percorrere tale strada si dovrebbe affidare il futuro del continente ai giuristi, affrontare una procedura internazionale oscura e ignota con lunghe e aleatorie trattative intergovernative, dove potrebbe accadere di tutto, a cominciare dagli attacchi speculativi dei mercati. Inoltre questa scelta non potrebbe comunque avere nessuna legittimazione popolare diretta, in quanto la Costituzione (articolo 75) vieta espressamente l’indizione di referendum sui trattati internazionali, come è quello che ha adottato l’euro.

Uscire dall’euro (non) conviene alle imprese. Gli apologeti del “ritorno alla lira” sostengono che, con il recupero della sovranità monetaria, si potrebbe tornare alle svalutazioni competitive in grado di favorire le esportazioni. In realtà l’export italiano, proprio nel pieno della recessione e anche con un cambio eccessivamente forte, è andato meglio di tutti in Europa, anche di quello tedesco, tenendo a galla la nostra economia. La quale nel mercato globale ha come unica chance – e le imprese italiane esportatrici lo dimostrano – di puntare su innovazione e prodotti ad alto valore aggiunto, senza entrare in concorrenza con la manodopera a basso costo dei Paesi terzi. E se il nostro export non ha bisogno di tornare alla liretta, tanto meno ce l’ha l’import, che vedrebbe esplodere i prezzi delle materie prime e dell’energia, e dei semilavorati che trasformiamo con un tocco di made in Italy.

Uscire dall’euro (non) conviene a risparmiatori e Stato. Sì, il passaggio ad una moneta svalutata – perché così sarebbe se uscissimo dall’euro, nella misura minima del 30% secondo i calcoli di tutti gli analisti – permetterebbe di svalutare anche l’ammontare dei debiti. Bene (nel breve) per quello pubblico, male per i privati, visto che gli italiani sono risparmiatori netti e quindi vedrebbero decurtati i loro patrimoni (tanti) molto più dei debiti (pochi). Ma anche per il Tesoro sarebbe un fuoco di paglia, perché i tassi schizzerebbero alle stelle, lasciando di fatto intatto il peso del debito sovrano. Risultato: ritiro dei depositi e fuga dei capitali prima della conversione coatta. Panico generale.

Cari eurodisfattisti, rassegnatevi: non è vero che si stava meglio quando si stava peggio. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.