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Un gesto isolato o l’inizio della recrudescenza?

Turchia, mal di testa dell’Europa

Dopo l’uccisione di don Andrea Santoro tornano le polemiche sull’adesione all’Ue

di Antonio Picasso - 07 febbraio 2006

Si torna a parlare di Turchia. In chiave scettica stavolta. Tuttavia, per raggiungere quell’auspicato risultato apprezzabile, serve la collaborazione di tutti. L’assassinio del sacerdote italiano a Trebisonda, don Andrea Santoro – per cui in queste ore sta ricorrendo l’arresto dei probabili colpevoli – ha riportato sulle prime pagine dei giornali l’argomento Turchia in Europa. Ultimamente esclusivo oggetto di discussioni lontane dai riflettori, salvaguardate dalla riservatezza della diplomazia.

La questione si è aperta formalmente in ottobre, con l’avvio delle trattative. E l’Italia, come dice Massimo Franco sul Corriere della sera, si è subito posta tra i primi a promuoverne l’ingresso. Tuttavia, il presidente Ciampi, durante la sua visita ad Ankara e Istanbul in autunno, già aveva ricordato la necessità di avviare una sorta di esame di coscienza collettivo, da parte di un Paese geograficamente di confine per il nostro continente e storicamente avverso alla nostra cultura, come indiscutibilmente è stata la Turchia. E da qui partire per un rapporto di collaborazione.

Quali sono i tratti che Bruxelles e Ankara hanno in comune? Cosa le tiene legate, oltre al ponte sul Bosforo? Cosa può fare l’Europa per la Turchia? E cosa viceversa?

Ma, con la morte di don Santoro, si sono aggiunte altre domande. Si è trattato di un gesto perpetrato da un fanatico e quindi facile da circoscrivere? Oppure è l’espressione individuale di un sentimento strisciante anti-europeista, anti-cristiano e che può trovarsi in sintonia con le più efferate dottrine integraliste dell’Islam? Quali altri incidenti potremmo attenderci, inoltre? E infine, adesso che sono stati presi i responsabili del gesto, quale sarà la loro sorte? Per un omicidio di questo genere, sovraccarico di peso politico, un sistema giuridico come quello turco potrebbe ricorrere a degli atteggiamenti punitivi che, ai nostri occhi, risulterebbero un eccesso.

Finora, l’Europa ha fatto affidamento sul governo di Ankara, riconoscendo nel premier turco, Recep Tayyip Erdogan, il valido mediatore per avviare un dialogo fruttifero con la cultura musulmana. E, volendo ragionare con un po’ di cinismo, si può dire che non basta una sola vittima per parlare di scontro o contenzioso diplomatico. Quindi è giusto dire che i rapporti tra Bruxelles e Ankara non sono cambiati.

Bisogna percepire, però, anche i sentimenti della cosiddetta gente comune. E se realtà populistiche, quali la Lega in Italia con la sua Padania, trovano un seguito nei ceti medio bassi – vale a dire in quelle frange della popolazione intimorite dall’apertura delle frontiere a est per motivi di piccola economia e di lavoro – non è da escludere che lo stesso accada sulle coste del Bosforo. Perché i vecchi “mamma li turchi!” e “morte all’infedele!” non sono stati archiviati nei libri di storia. Hanno solo cambiato veste, purtroppo. Un tempo erano grida di guerra, oggi sono invettive per le paure che può suscitare il mercato globale.

E se Unione europea e governo turco possono fare tanto per la definizione di un forte ed equo rapporto economico tra loro, la Chiesa, tanto efficace nell’indirizzo delle coscienze, potrebbe impegnarsi nell’aprire alla cultura turca e nello smorzare i pregiudizi che qui si nutrono nei confronti di questa.

Per il 30 novembre di quest’anno, giorno di Sant’Andrea – protagonista importante nella storia della Chiesa d’Oriente, oltre che patrono del sacerdote ucciso – è prevista la visita di papa Benedetto XVI in Turchia. Un evento importante, tenendo conto che fu proprio Joseph Ratzinger a esprimere i dubbi del Vaticano in merito all’apertura dell’Europa. Un passo che costituirebbe un esplicito gesto di conciliazione, della quale potrebbero trarne giovamento tutti. Anche le masse comuni.

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