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Giubilo da una parte e disfattismo dall’altra

Trimestrale: reazioni fuori luogo

Strumentalizzazioni vero nodo dei programmi e intendimenti lontani dai problemi reali

di Enrico Cisnetto - 03 aprile 2006

Incredibile. L’anticipazione dei dati trimestrali sulla condizione della finanza pubblica ha suscitato reazioni – come purtroppo era prevedibile, data l’infima qualità della campagna elettorale – del tutto fuori luogo. Lo sono le espressioni di giubilo del governo, così come quelle degli esponenti del centro-sinistra, che parlano di bancarotta e preannunciano disastri. Mai, neppure ai tempi della guerra fredda, i dati della congiuntura economica erano stati tanto strumentalizzati come in questa circostanza. Eppure entrambi gli schieramenti dovrebbero sapere che nelle ultime due legislature mai una previsione si è tramutata in realtà e che, a maggior ragione, la prima Trimestrale di cassa dell’anno ha un’importanza piuttosto modesta. La verità è che alla fine dei cinque anni di governo del centro-sinistra il deficit era sopra al tetto europeo del 3% del pil (3,2% per l’esattezza) e che alle fine di questi cinque anni di centro-destra rimane ancora sopra (3,8%). Così come la crescita economica era ben lontana dalla media Ue allora e lo rimane oggi. Certo, nel frattempo tutte le variabili, dal pil al deficit e al debito (dato più grave di tutti, considerato lo sforamento degli enti locali), sono peggiorate, ma in un trend negativo – di tipo strutturale – che accomuna nelle responsabilità l’intera classe politica della Seconda Repubblica. Ha ragione Follini – unico, ieri, a evitare la logica della strumentalizzazione elettorale – quando sollecita entrambi i poli a rifare i loro di conti, cioè a rivedere le ricette (si fa per dire) che stanno presentando agli elettori. Le quali sembrano lontane dai rilievi avanzati dal Fondo monetario internazionale e dunque rischiano – per la paura di dire la verità al Paese, e cioè che siamo dentro ad un declino che richiede misure straordinarie e una grande coesione nazionale – di risultare inadeguate rispetto alle difficoltà strutturali in cui ci muoviamo. Gli stessi segnali di ripresa, che pure ci sono e che sembrano prescindere dalle politiche economiche, non sono sufficienti a tenerci agganciati né allo straordinario trend di crescita dell’economia mondiale, che per il quarto consecutivo si avvia ad incrementarsi di circa il 5%, né alla più modesta media Ue. Mettendo in luce come il vero nodo sia la politica dell’offerta (cosa produciamo e come) mentre tutte le proposte che animano il dibattito politico – a cominciare dalla vexata questio delle tasse – riguardano la politica della domanda, la quale, ammesso e non concesso che funzioni, rischia di favorire solo le importazioni. Certo, l’export è in netta ripresa – e questo segnala come ci sia una parte del nostro capitalismo che ha saputo riconvertirsi, anche senza una politica industriale degna di questo nome – ma il taglio che l’Fmi ha dato alle sue stesse previsioni di un mese fa sul pil del 2006 (da 1,5% a 1,2%, mentre il governo dice 1,3%) segnala che la tendenza alla ripresa è ben lungi dall’essersi consolidata. Dunque, chiunque vinca domenica prossima, è bene che si sappia fin d’ora che c’è uno scarto troppo forte tra la dimensione dei nostri problemi e gli intendimenti finora messi in campo. Purtroppo.

Pubblicato su Il Messaggero del 2 aprile 2006

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