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Voto utile, futile o sanguinario

Tremenda vendetta

I fallimenti di Pdl e Pd spianano la strada al M5s, unico contenitore politico di due diverse tendenze antistatali.

di Davide Giacalone - 14 febbraio 2013

Beppe Grillo va forte e raccoglierà moltissimi voti, mossi non dalla protesta, ma dal desiderio di vendetta contro i partiti cui quegli stessi elettori diedero il voto. Vendicandosi ciascuno contro questioni e soggetti diversi, finiranno con il ritrovarsi assieme pulsioni inconciliabili: ci saranno le partite iva venete, che chiedono meno tasse e meno Stato, come ci saranno gli orfani del clientelismo meridionale, che chiedono più trasferimenti e più Stato. I primi si vendicano contro chi promise meno fisco e realizzò più spesa pubblica, i secondi contro chi promise più posti di lavoro ma tagliò la spesa pubblica. Non ha alcun senso che stiano dalla stessa parte, ma ci si ritrovano per punire quella (o quelle) in cui credettero.

All’indomani del voto, a dispetto di questa irrimediabile contraddizione, il Movimento 5 stelle (che è un non senso già dal nome, ma nessuno ci fa caso) sarà la seconda o la terza forza e, forse, il singolo partito più coeso e più votato. Tenuto conto che sia il Pd che il Pdl sono e rimarranno la sommatoria di componenti diverse, mentre quello di Grillo è un movimento scomposto, coagulato attorno a un solo uomo e un solo istinto. E mentre il centrodestra e il centrosinistra chiamano al “voto utile”, vale a dire ciascuno sperando che una quota marginale, ma forse decisiva, dei propri elettori non defluisca verso sigle relativamente vicine, talché il nemico è il più simile a me, mentre il migliore alleato è il più simile al mio avversario, una legione d’elettori s’incammina non verso il voto futile, bensì verso l’istinto sanguinario. Tutto ciò travolgerà i centrismi, ma non per questo diventerà meno evidente la morte annunciata di questi bipolarismi.

Lo scenario che si presenta è di tipo siculo, così come noi intravedemmo ancora prima che prendesse corpo in quelle urne regionali: la sommatoria dei primi due classificati non raccoglie neanche la metà dei voti disponibili, mentre entra nell’assemblea elettiva una nuova e considerevole forza, intitolata alla vendetta. Da quel momento in poi si riparte con il trasformismo, rimettendo assieme soggetti che, fino al giorno prima, si erano vicendevolmente considerati alternativi, e cercando di attingere al vasto serbatoio dei nuovi entrati, che avranno una scaturigine chiara ma un avvenire avvolto nella nebbia. Procedendo in quel modo si va al suicidio.

Ho letto con molto interesse e piacere l’ultimo libro di Franco Debenedetti (“Il peccato del professor Monti”), ritrovandoci molte delle analisi e delle idee che qui sviluppiamo. Nel chiudere la sua riflessione, che suggerisco di leggere, Debenedetti punta il dito su un punto chiave: non ci serve la normale manutenzione costituzionale, non porta da nessuna parte limare il numero dei parlamentari o rendere meno duplicativo il bicameralismo, sono cose che vanno fatte, ma è necessario di più: ripensare la prima parte della Costituzione e lasciarsi alle spalle il consociativismo. Che, anche nella sua versione concertativa, da molti anni è una palla al collo dell’Italia che funziona. Per fare questo è necessaria la consapevolezza del problema e, non sembri contraddittorio o paradossale, serve la comune volontà di chi ancora raccoglie la maggioranza relativa dei consensi. Serve che Pd e Pdl muovano in quella direzione.

Conosco la risposta più facile: non lo faranno mai. E’, purtroppo, realistico. Ma in quel modo saranno a loro volta annichiliti dal saldarsi in un unico contenitore politico di due diverse e opposte tendenze antistatali. Prendano sul serio i voti a Grillo e non facciano i gradassi, perché sono non la causa, ma l’effetto dei loro fallimenti e delle loro incapacità. Sono arrivati all’ultimo giro, giacché il successivo li rigirerà.

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