ultimora
Public Policy

Strategia per ripartire

Tornino a bordo

La ripresa non è nei numeri del 2013. Ma è ora che si mettono le premesse per coglierne gli effetti benefici, visto che il mondo non è in recessione.

di Davide Giacalone - 12 marzo 2013

Tornino a bordo, accidenti. Lo scoglio contro cui s’è schiantata la nave Italia non è mica il voto ingrillato, quella è solo acqua che entra dal buco. Lo scoglio è l’asfissia fiscale e creditizia cui è sottoposto il mondo produttivo, accompagnata dalla paura imposta a quanti vivono di trasferimenti e spesa pubblica. L’inondazione ortottera è solo un effetto, inutile perderci tempo. E’ alimentata da fluidi incompatibili, dalla confluenza di chi vuole meno tasse e di chi spera in più trasferimenti. Allocco chi ci crede, ma irresponsabile chi non capisce che la via d’uscita è nella rimessa in moto del sistema produttivo. Le premesse ci sono, serve lucidità e coraggio.

In declassamento di Fitch non comporta conseguenze immediate. E’ bene ricordare che quella era l’ultima agenzia che ci concedeva di restare nel mondo della A, visto che le altre due ci avevano già collocato a livello B (e che ora ci faranno ancora scendere). Fitch, quindi, non porta novità, semmai si osservi l’imminente risorpasso della Spagna, come nell’agosto del 2011. Tempo e sacrifici buttati via. Il dramma sta nella non reattività del sistema politico, cui s’accompagna la svagatezza mentale di tutta quanta una classe dirigente. Opinionisti compresi. Il ministro dell’economia, Vittorio Grilli, ha detto che l’Italia saprà reagire. Sì? E come? Il modo c’è, ma è quasi l’opposto di quel che Grilli e il governo hanno fatto.

Il mondo non è in recessione. I mercati internazionali crescono. Un Paese esportatore, come l’Italia, dovrebbe essere pronto a cogliere il vento e alzare le vele. Invece siamo qui che buchiamo le poche ancora attaccate a una cima. Il nostro sistema produttivo è fatto da pochi campioni di grandi dimensioni e da una miriade di api operose, di piccole dimensioni, ma di grande qualità. Vediamo quel che succede e cosa si dovrebbe fare.

Sul fronte delle grandi cito due nomi: Finmeccanica ed Eni. L’eccellenza tecnologica e la sicurezza energetica. Il governo le ha abbandonate. La politica estera le ha danneggiate. La magistratura le ha inquisite. Ci stiamo tagliando gli attributi senza neanche far dispetto alla moglie, che da tempo se ne è andata, ma solo una cortesia a quanti, concorrenti esteri, godranno di quel che noi non faremo. Si deve decidere: queste aziende, controllate dallo Stato, sono interesse strategico nazionale o no? Se lo sono, come credo, vanno difese. E se per difenderle occorre (parlo di Finmeccanica) dare vertici competenti e credibili, che lo si faccia (e, per farlo, non puoi avere ministri che piazzano amici, a loro volta amici delle loro prime mogli). Altrimenti si vendano, prima che deperiscano e perdano valore. Sarebbe un grave errore, ma sempre meglio che sopprimerle noi, nella miseria di un mondo che non capisce e ama distruggere.

Sul fronte delle piccole si sta procedendo falcidiandole in due modi: mancando il credito è escluso che possano agganciare la ripresa, mancando supporti professionalmente adeguati è escluso che occupino lo spazio necessario, sui mercati internazionali. Dal lato del credito c’è poco da sperare, perché le banche italiane non hanno patrimonio adeguato e un deterioramento dei crediti superiore a quello delle banche spagnole. Per uscirne si dovrebbe scardinare le fondazioni e aprire le proprietà. Per chi non abbia capito come funziona suggerisco un corso accelerato, a Siena. Allora si deve aprire al capitale di rischio. Il mondo è pieno d’investitori che guardano con interesse all’Italia, ma avrebbero bisogno di tre cose: a. un trattamento fiscale di favore; b. un testo unico delle regole cui attenersi (perché il costo principale non può essere un esercito di azzeccagarbugli); c. un foro di riferimento internazionale, perché nessuna persona sensata si fida, neanche lontanamente, della rottamabile giustizia italiana (civile, penale e amministrativa).

In quanto alle strutture di supporto, indispensabili se si è piccoli in un mercato globale, il governo ha distrutto l’Ice (Istituto commercio estero), che non era una pepita, ma ora implode, e ha distrutto anche pratiche virtuose e risparmiose, come “Italia degli Innovatori” (l’Agenzia che mise a punto quel prodotto, e che per due anni ho presieduto, ha consegnato conti in avanzo, con milioni non spesi, e non per incapacità di fare, ma per oculatezza nel risparmiare, il tutto portando a casa risultati e contratti). Non è il caso di far rinascere carrozzoni, ma questo vuoto dovrebbe suggerire a soggetti privati, come le banche o le organizzazioni imprenditoriali, di coprirlo. I piccoli sono i migliori ambasciatori di quel che il mondo vede nell’Italia: innovazione e qualità. Sto parlando di fare affari e soldi, mica beneficienza.

La ripresa non è nei numeri del 2013. Non prendiamoci in giro. Ma è ora che si mettono le premesse per coglierne gli effetti benefici. Tornino a bordo. Conta il futuro, non la lurida guerra degli ultimi venti anni.

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.