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Al Paese servono proposte concrete

Torniamo alla vera polita

La strada giusta la indica il Terzo Polo

di Enrico Cisnetto - 18 gennaio 2011

Non ho alcun elemento di merito che mi consenta di giudicare l’iniziativa della Procura di Milano in relazione al cosiddetto “caso Ruby”, né voglio sindacare la decisione assunta dalla Corte Costituzionale – anche perché è palese si tratti di un bicchiere riempito a metà, che si può legittimamente vedere sia mezzo pieno che mezzo vuoto – circa la legge sul “legittimo impedimento”.

Ma una cosa va detta senza reticenza alcuna: se, ancora una volta, si pensa di usare gli strumenti giudiziari per battere Berlusconi – quale che siano le effettive intenzioni delle magistrature coinvolte – allora significa che non si è capito nulla di quanto è successo in Italia dal 1994 ad oggi. E siccome il tempo trascorso è lungo e sono tanti gli episodi riconducibili alla tentazione di usare questa scorciatoia, unita a quella dello “sputtanamento”, oggi davvero non sarebbe perdonabile chi dovesse nuovamente cedere alla medesima lusinga. Fermi, dunque.

Chiunque abbia in testa Giambattista Vico e i suoi corsi e ricorsi storici, sappia che quello dell’impeachment di Berlusconi è un film già troppo visto perché si possa cadere nella trappola di ripetere le stesse scene. E sì, perché al di là delle ragioni più o meno fondate che possono aver indotto questo o quel provvedimento, questo o quel processo, non c’è dubbio che il reiterato tentativo di battere Berlusconi per altre vie che non quelle politiche abbia subito una clamorosa sconfitta, in questi anni. Fossero fondate o meno le accuse che gli venivano rivolte. E specie da parte di chi si poneva l’obiettivo di “farlo fuori” – con ciò andando ben al di là degli eventuali fondati motivi di giustizia – sarà il caso di prendere atto una volta per tutte che quella aspirazione non è perseguibile con quei mezzi.

Anzi, che la “via giudiziaria” ha finito paradossalmente col rafforzare il Cavaliere, che si è fatto scudo di quella che non è stato difficile descrivere come una persecuzione per conservare o addirittura aumentare il suo consenso. Ora basta. Ci sono troppe e ottime ragioni di natura politica per criticare e avversare il premier, per lasciarsi tentare dall’ennesimo affondo sul terreno della giustizia. Primo, come detto, perché finora è successo il contrario di ciò che si voleva.

Secondo, perché quand’anche dovesse riuscire l’affondo, la macerie che lascerebbe nel Paese l’ennesimo scontro all’arma bianca sarebbero un prezzo troppo alto da pagare, e le tossine successivamente rimaste di troppo difficile e lunga smaltitura per non fare coscientemente il calcolo costi-benefici. E terzo, perché le vere e più alte responsabilità di Berlusconi sono sul piano del “non” e del “cattivo” governo, ma queste debbono essere equamente condivise con tutti i suoi avversari – complici con lui e i suoi del sistema politico fallimentare chiamato Seconda Repubblica – e certo non si pongono le premesse per metterci rimedio se la sua giubilazione dovesse avvenire sul piano giudiziario.

Viceversa, chi vuol battere Berlusconi deve fare due cose che finora (salvo rarissime eccezioni) non ha fatto: comprendere i motivi del fallimento del bipolarismo italico, facendo la dovuta autocritica se vi ha partecipato; elaborare un progetto paese che, partendo dal sistema politico da rivedere e dagli assetti istituzionali da ripensare, rappresenti la piattaforma politico-programmatica della Terza Repubblica. Due passi che, sinceramente, non vedo compiere con la necessaria risolutezza.

Il Pd, come dimostra anche l’ultimo appuntamento interno, non ha fatto né la prima né la seconda cosa. E si mostra ancora una volta maledettamente attratto dalla “scorciatoia”, che è insieme causa e conseguenza della sua crisi sempre più irreversibile.

Il “nuovo polo”, invece, non o poco abbacinato dalla “via giudiziaria” salvo sgradevoli e pericolose eccezioni di qualche esponente del Fli incline al dipietrismo, ha sicuramente fatto molti passi avanti sul terreno della valutazione critica del bipolarismo, mentre assai meno ne ha fatto sul piano dell’elaborazione programmatica.

Dunque, per favore, Corte o non Corte, Ruby o non Ruby, giù i fucili – che tanto scoppiano sempre in faccia a chi li usa – e testa a cuocere per studiare, discutere, progettare. In modo da dire agli italiani parole chiare su ciò che si deve e si ha intenzione di fare per uscire dal declino in cui sono immersi. Che, intanto, loro Berlusconi l’hanno bello che giudicato: se lo tengono, come male minore, fintanto che qualcun li convincerà che c’è qualcosa di meglio. E, credetemi, basta poco.

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