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Public Policy

Le zoppie dell’Eurozona

“Too big to fail”

È prioritario discutere del modo in cui rafforzare Unione ed Eurosistema

di Angelo De Mattia - 09 febbraio 2010

Il grave subbuglio dei mercati in Europa, con i riflessi oltre l’Atlantico, ripropone, in termini non più rinviabili, la necessità di risolvere i problemi di policy e istituzionali che sono alla base di questa non comune turbolenza, la quale potrebbe anche sfociare, ancorché con una mossa avventurosa, in un vero e proprio attacco all’euro. E’ fondamentale affrontare con tutta urgenza, all’interno dei singoli paesi specie quelli deboli, il riequilibro della finanza pubblica e l’avvio della sia pure graduale sistemazione del debito privato. I programmi vanno tradotti in pratica tempestivamente e con rigore. Ma, poiché sono diffusamente in ballo anche acuti problemi di produttività, si pone l’esigenza che operi più efficacemente, accanto a quella della finanza pubblica, la leva della politica economica. E, qui, si presenta il nodo della carenza , in questo campo,di attribuzioni che pur sarebbero necessarie, a livello comunitario.

E tuttavia qualcosa occorrerà fare per un più stretto coordinamento all’interno dell’Unione e, più in particolare, dell’Eurosistema. Bisogna attenuare la zoppìa causata, nell’eurozona, dall’unica politica monetaria e dalle tante politiche economiche. Non basta più il Patto di stabilità e crescita,se si vuole reagire adeguatamente ai casi di crisi che colpiscono i paesi dell’area e si vuole avviare una fase di rilancio, promuovendo coordinatamente le riforme strutturali e una politica industriale comunitaria per il risanamento e la ripresa.

Un ruolo europeo più coeso, dal punto di vista istituzionale e delle politiche concrete, consentirebbe anche un migliore coordinamento internazionale, pure esso necessario. E di ciò sarebbe opportuno che si cominciasse a discutere già nel G.7 finanziario del 5 e 6 febbraio in Canada.

Mentre ci si confronta con le nuove turbolenze dei mercati, è aperta la discussione anche sulle banche centrali e sulle decisioni in proposito di alcuni governi, quantunque oggi dovrebbe essere privilegiato il dibattito sugli strumenti di policy di cui dispone il potere esecutivo per sospingere una ripresa fragile e incerta. Il presidente della Federal Riserve, Bernanke, nel discorso di riconferma nella carica, dopo il voto favorevole del Senato Usa, ha sottolineato l’importanza della difesa dell’autonomia della banca centrale.

Il riferimento è chiaramente alle proposte di legge ( minoritarie ) che vorrebbero istituire un organo permanente di controllo sulla banca centrale, partendo dal presupposto (o dal pretesto )che in situazioni di crisi l’istituto , con le misure che adotta, può riversare, come è accaduto durante la crisi globale, oneri sul bilancio pubblico: di qui la necessità di un controllo, che poi, però, si prevede di estendere alla generale attività della banca. Altre proposte di legge prevedono una sottrazione alla Fed dei poteri in materia di vigilanza sul sistema creditizio, all’opposto dell’accrescimento che, invece, vorrebbe il Presidente Obama, sia pure con l’affiancamento di un organismo per la tutela dei consumatori. Il discorso di Bernanke è stato pronunciato quasi contemporaneamente alla decisione della “presidenta “ argentina Cristina Kirchner di sostituire con Mercedes Marcò del Pont, ex deputata del partito peronista presentata come economista, il dimissionario governatore della banca centrale, Martin Redrado, di fatto destituito dalla Kirchner per non aver voluto consentire il trasferimento al governo di 6,6 miliardi di riserve in dollari –preposte come tutte le riserve alla difesa del valore della moneta - che dovrebbero servire a fronteggiare l’esposizione debitoria dell’Argentina nei confronti del Fondo monetario e della Banca mondiale, ma lasciando intendere che saranno utili pure per tentare un accordo per il rimborso parziale dei portatori dei tango bond che non hanno aderito alla precedente intesa.

Il ridicolo di questa vicenda sta nel fatto che il governo argentino si è paradossalmente mosso con un comportamento del genere - che all’estero è subito apparso come arbitrario e frontalmente in conflitto con l’autonomia della banca centrale - con il dichiarato intento di riconquistare credibilità e fiducia nei mercati internazionali. In Argentina comincia a diffondersi il convincimento che, ormai, una nuova fase si è aperta, nella quale l’azione della banca centrale si svilupperà sotto la diretta influenza del governo. “ Si licet parva::::::::”, nel piccolo Stato di San Marino, il capo della vigilanza finanziaria è stato destituito su due piedi dal locale Comitato del credito – si dice, per una difformità di vedute rispetto al governo - creando un caso che potrebbe estendersi e che la dice lunga su come sia vista l’autonomia della banca centrale.

Anche in Europa, in previsione degli avvicendamenti al vertice della Bce – a maggio per il Vice presidente e a ottobre 2011 per il Presidente – è iniziata una riflessione sulle funzioni dell’Istituto di Francoforte, di pari passo con l’avanzare dell’iter di approvazione della nuova architettura della vigilanza nell’Unione, la cui disciplina potrebbe prevedere un ruolo di rilievo innanzitutto per il suddetto Presidente. In ogni caso, questa possibile attribuzione di nuovi compiti rafforza ancora la candidatura di Mario Draghi, che di giorno in giorno raccoglie crescenti consensi in campo europeo ( oltrechè italiano ) sia pure espressi con il doveroso atteggiamento di chi sa che la carica di presidente per ora è validamente ricoperta da Jean-Claude Trichet: accanto al curriculum eccezionale – che ha fatto dire a un notissimo opinionista che egli può diventare presidente perché si chiama Draghi piuttosto che per il passaporto italiano, un concetto a suo tempo espresso anche su queste colonne – il governatore della Banca d’Italia è, infatti, anche portatore dell’esperienza della conduzione della vigilanza, una funzione storica dell’Istituto di via Nazionale, senza possibilità di raffronti con altre istituzioni europee.

Sulla base del dibattito che si è svolto nel Senato americano, nel quale non sono certo mancati giudizi negativi, anche aspramente tali, sulla condotta della Federal Reserve prima e durante la crisi, la discussione , apertasi a livello internazionale, riguarda,più in particolare, se sia opportuno che le banche centrali si limitino all’esercizio della politica monetaria oppure se a tale compito sia conveniente affiancare – o , nei casi in cui è già vigente, confermare - quello della vigilanza sul sistema creditizio e finanziario.

Su questa materia sono stati versati, nel tempo, fiumi di inchiostro. Si sono abbondantemente cimentate la teoria e la policy, per rispondere alla domanda – e definire conseguenti scelte normative – se sia opportuno mettere insieme tutela della stabilità monetaria e tutela della stabilità finanziaria. Per tutto un certo periodo è stata dominante la tesi del conflitto di interesse che può venire a determinarsi tra l’uno e l’altro dei citati compiti, se la cura di entrambi sia affidata alla stesso organismo. Soprattutto nei casi di difficoltà, la politica monetaria – secondo questa tesi – potrebbe essere resa funzionale alle scelte della vigilanza. In specie nei casi di dissesti bancari ciò potrebbe accadere, facendo perdere di mira la finalità del governo della moneta che è quella di perseguire la stabilità dei prezzi e, nel caso della Bce, solo dopo aver assolto questo compito, contribuire alle politiche economiche della Comunità. Dunque, sarebbe opportuno che tra politica monetaria e vigilanza creditizia sussistesse un regime di separatezza, pur senza escludere eventuali casi di sintesi superiori da parte di altri organismi.

La crisi globale ha, tuttavia, dimostrato la debolezza di questa tesi, se solo si pensa al fatto che il problema principale che si è presentato, per esempio a una banca centrale come la Bce, è stato quello della non adeguata disponibilità informativa sulle condizioni degli intermediari operanti nei diversi sistemi; condizioni che , invece, sono nella piena conoscenza degli organi di controllo. L’esperienza della Banca d’Italia degli anni in cui disponeva dei pieni poteri nella politica monetaria, nei quali si affermò una assai proficua cooperazione stretta tra quest’ultima e la funzione di vigilanza in funzione degli interessi generali, pur nella distinzione delle attribuzioni, è particolarmente significativa.

Ma non sarebbe sufficiente, per la cooperazione, un mero scambio informativo. E’ la compresenza delle attribuzioni che può dare il “quid pluris”. Essendo, poi, l’esercizio di tali attribuzioni analiticamente disciplinato dalla legge o dai criteri vigenti per la politica monetaria, e rimanendo al banchiere centrale la sola discrezionalità tecnica, non si vede quali effetti deteriori potrebbe provocare quella che viene a volte descritta come una commistione di compiti. La coesistenza, nello stesso organismo, delle descritte funzioni nella loro sostanziale distinzione può essere l’assetto che sfrutta le sinergie tra le due attività, senza impropriamente subordinare l’una all’altra.

Resta, naturalmente, valida la tesi dei controlli sullo svolgimento di questi compiti, ma da parte del parlamento, attraverso il meccanismo delle audizioni, che appare il più idoneo a esercitare una forma di sindacato, senza ledere l’autonomia della banca centrale. E’ ovvio che per i casi di dissesti bancari che dovessero comportare operazioni di salvataggio con un onere a carico del bilancio pubblico vi debba essere il coinvolgimento decisionale del Tesoro. Del resto, già operano in alcuni paesi (a partire dall’Italia ) comitati per la stabilità finanziaria con la presenza di esponenti governativi.

Questo tema comunque é destinato ad assumere una diversa configurazione di pari passo con lo sviluppo delle analisi sul “ too big to fail “, per esempio ad opera del Financial Stability Board, e sull’introduzione di meccanismi consortili,all’interno della stessa comunità bancaria, per una sorta di assicurazione contro fenomeni di crisi che ne mettano in forse la stabilità (accanto ad altre misure, quali il “ testamento” di ciascuna banca, per facilitare interventi di urgenza). La riforma finanziaria di Obama è un altro passo nella stessa direzione.

Ma, oggi, pur rilevando il carattere cruciale - per contrastare la crisi e coadiuvare alla ripresa - delle funzioni delle banche centrali, per l’Europa é prioritario discutere del modo in cui rafforzare Unione ed Eurosistema, paradossalmente a pochi giorni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che, per i problemi che sopravvengono, appare già vecchio. Stare fermi, a questo punto, sarebbe pericoloso.

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