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Sisma Emilia

Terremotare la recessione

Dal terremoto si può ripartire, ma non con nuove tasse

di Davide Giacalone - 01 giugno 2012

Dal terremoto si può ripartire, trasformando la disgrazia in un nuovo inizio. Il dolore è profondo, ma deve prevalere la lucidità e la volontà. Al governo e all’Italia si offre un’occasione preziosa, che deve essere colta a favore dei terremotati, ma anche degli altri. Non solo non si deve tassare (la benzina o qualunque altra cosa) per ricostruire, ma si deve costruire in modo da tassare sempre meno. Non s’invochi la solidarietà per propiziare la tassazione, si punti alla spesa necessaria per propiziare lo sviluppo. Si può. Quel pezzo d’Italia è un’articolazione fondamentale del nostro tessuto produttivo. Qui si trova parte rilevante della nostra ricchezza, che è fatta di cittadini responsabili, lavoratori capaci, imprenditori che non si arrendono e imprese che contengono non contabilizzate quote di ricerca e innovazione. Piangiamo le vittime (non a caso molti lavoratori e imprenditori), ma non possiamo e non dobbiamo permettere che fra queste ci sia una così rilevante fetta del “made in Italy”. Quindi non si tratta di trovare le risorse per rimettere in piedi quel che è caduto, ma d’impostare subito un diverso modo di concepire l’urbanistica dello sviluppo: non solo costruzioni antisismiche, ovviamente, ma capaci di raggiungere la massima autonomia energetica, connesse fra loro, e con il resto del mondo, grazie alle comunicazioni materiali e a quelle immateriali, edifici, aree e città intelligenti, che agguantino la modernità sostanziale e non solo strizzino l’occhio a quella d’immagine. L’Emilia sfregiata deve essere un pezzo forte del laboratorio Italia, dimostrando che dal dolore si esce superando l’arretratezza che c’era, facendo un salto in avanti, facendo sorgere l’Italia che per ogni dove dovrebbe risorgere. Da recuperare ci sono le testimonianze del passato rinascimentale, che sono ricchezza da valorizzare, non solo memoria da conservare. Per fare questo servono investimenti pubblici ingenti, che l’Unione europea non può e non deve permettersi di ostacolare. Il governo ci metta la faccia. Mario Monti vada fra i terremotati. Non si tratta di essere caloroso anziché algido, che queste sono futilità ridicole, in un tale momento, si tratta di andare a dire: qui si rifà l’Italia. Spenderemo in deficit, perché i nostri cittadini non devono restare senza casa ma, cosa ancora più importante, perché l’Italia che compete nel mondo non può restare senza un pezzo del proprio motore. Chi volesse fermarci dovrà fare i conti con il nostro orgoglio, ma anche con la determinazione nel difendere i nostri interessi. Non solo i tedeschi o i francesi ne hanno. All’Europa parametrale e ragionieristica dica: sia il patto di stabilità che la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio (un regresso culturale, prima ancora che economico) prevedono delle eccezioni, e noi la stiamo vivendo. Ci consideriamo esonerati da un vincolo che avrebbe costi umani intollerabili, ma anche costituirebbe un indebito vantaggio per i nostri concorrenti. Chiediamo che siano rimodulati, vale a dire destinati diversamente, i contributi europei all’Italia (alimentati da finanziamenti anche italiani, mica regali della Befana), in modo che siano utilizzati non solo e non tanto per ricostruire, ma per riconcepire quest’area produttiva, divenendo un esempio per l’Ue e per il mondo. La ricchezza che creeremo rimettendoci in piedi non alimenterà solo il prodotto interno italiano, ma sarà un modello di crescita riproducibile ed esportabile. Già prima della crisi, prima della terribile estate 2011, il nostro bilancio pubblico era in avanzo primario. L’anno prossimo contiamo, al netto di quel che qui si sostiene, di agguantare l’avanzo strutturale. Eppure il dio spread continua a frustarci, sicché noi abbiamo deciso di comunicargli che non solo non faremo sacrifici umani sui suoi altari, ma intendiamo terremotarli. Ciò non significa che la spesa pubblica crescerà indiscriminatamente, anzi, il contrario: ne riconvertiremo una parte, lavoratori pubblici compresi, nella costruzione del nuovo modello, potremo tagliare più in profondità, perché investiremo con più produttività, e intendiamo mettere in vendita patrimonio pubblico, con il quale abbattere il debito. Il terremoto ci ha colpiti in recessione, da quello usciremo in crescita. Saremo attentissimi sul debito vecchio (con le privatizzazioni), ma allenteremo le briglie al deficit. Lo faremo perché è nostro dovere e perché è conveniente. L’Europa che non volesse capire non sarebbe la nostra, e senza di noi non esiste Europa. Era vero anche ieri, ma oggi non si può non dirlo. Il governo ha l’occasione d’essere il protagonista di questa ripartenza, pur con le difficoltà lasciategli in eredità e le disgrazie sopraggiunte. In caso contrario sarà una comparsa, nella sceneggiata del declino.

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